Da molte parti sono sollecitato a parlare del nuovo Codice della strada, meglio noto come “riforma Salvini”. Devo dire, da subito, che ciò non mi entusiasma per nulla: pensare a Salvini come “legislatore” è cosa che offende la mia intelligenza; posso, comunque, dire che penso si tratti di una pessima legge della quale – sono certo – presto si occuperà la Consulta, essendone a mio parere evidenti i profili di illegittimità costituzionale.
Il fatto sul quale, invece, è bene ragionare è l’assoluzione del ministro Salvini dal “fantomatico” reato del quale era stato accusato, ma è il caso di parlare anche dell’ignominioso trattamento dell’argomento che politici, ma soprattutto la stampa, hanno ritenuto di doverne fare. Una politica scomposta, volgare e ottusa può decidere di manifestare con i suoi ministri davanti a un Tribunale dello Stato nel tentativo, non celato, di intimidire i magistrati: nel rispetto del fondamentale principio di separazione dei poteri, sono cose che non solo non si fanno, ma che andrebbero denunciate e condannate, per esempio, dal Capo dello Stato che è anche Presidente del Consiglio superiore della magistratura. Nonostante questi comportamenti ai limiti dell’eversione, il Tribunale di Palermo ha mandato assolto, con formula piena, l’imputato Matteo Salvini.
Tutto lasciava pensare che avremmo assistito, oltre che alle manifestazioni di giubilo per l’ampia assoluzione, anche a commenti ed esternazioni di stima per il sistema giudiziario del nostro Paese che, attraverso quella sentenza, confermava una volta di più che i magistrati amministrano la giustizia non in base alle tifoserie ma soltanto in base al diritto.
È pur vero che non sempre è stato così, ma le eccezioni confermano la regola: la nostra magistratura è sana. E invece no. Un giornalismo d’accatto, fatto da collaudati mercenari, che hanno ben capito che se scrivi come il padrone richiede avrai una vita lastricata da successi e da consistenti bottini, ha continuato a inveire e a delegittimare il sistema giudiziario con i soliti messaggi, neppure più di malcelata propaganda: separazione delle carriere, due Consigli superiori della magistratura, test psicoattitudinali per i magistrati e via discorrendo. Manca soltanto che fra un po’ ci dicano che, se vuoi fare il magistrato, devi avere una tessera di partito (meglio ancora se di governo) e il cerchio è definitivamente chiuso.
Che squallore! Noi continuiamo a ritenere che il compito di una stampa libera, non secondario in un sistema autenticamente democratico, sia quello di assicurare che il popolo possa ricevere informazioni che non siano manipolate o al servizio di organizzazioni o di precisi interessi. Una stampa scrupolosa, fatta nell’interesse della popolazione, dovrebbe “sfruculiare” le persone di potere e di governo. Questa libertà è garantita anche dalla nostra Carta costituzionale che all’articolo 21 recita: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Al di là della divisione dei poteri tra esecutivo (Governo), legislativo (Parlamento) e giudiziario (Magistratura), la funzione della libera stampa è fondamentale per la tenuta del sistema democratico. Rileggendo Montesquieu, questo appare quanto mai evidente: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti. Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere”. In uno Stato di diritto, questo confronto dialettico tra i diversi poteri dello Stato, avviene in maniera più lineare ed efficace attraverso il potere di denuncia della stampa. Un potere che diventa, per questa stessa strada, una ulteriore forma di controllo del corretto funzionamento delle istituzioni.
Che bello sarebbe se, nel corso dell’anno appena cominciato, il giornalismo italiano, come per incanto, subisse una profondissima metamorfosi e iniziasse ad attuare lo scomodo pensiero messo nero su bianco da quel grande scrittore visionario che fu il britannico George Orwell: “La vera libertà di stampa è dire al potere ciò che il potere non vorrebbe sentirsi dire”.
Bentornato,
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