Il Decreto Legislativo n. 136/2024, noto come Correttivo-Ter, recante disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi (d’ora in poi “Decreto correttivo) ha introdotto, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (d’ora in poi “adr”) delle modifiche molto importanti riguardo la transazione fiscale, con l’introduzione di nuovi e rigidi requisiti, riguardanti anche la condotta dell’imprenditore. Con l’adr, l’imprenditore può risolvere la crisi attraverso un accordo con i creditori e ottenere l’omologazione da parte del tribunale.
Tuttavia, perché l’adr sia omologabile occorre raggiungere un accordo con tanti creditori che abbiano crediti per almeno il 60% dell’intera massa debitoria. Tra questi spesso ci sono l’Agenzia delle entrate e l’Inps, che quasi mai accettano la proposta del debitore. In questo caso, quando la percentuale si può raggiungere solo con il consenso dei creditori pubblici, il tribunale, se sussistono alcune condizioni, può costringere Inps e agenzia delle entrate ad accettare la proposta del debitore attraverso il cram down. Queste condizioni, come si è accennato, sono cambiate con il correttivo ter.
Le modifiche
La prima concerne le percentuali minime che il debitore deve proporre, che variano dal 50% al 60% della sorte capitale a seconda della percentuale che questi debiti rappresentano rispetto alla debitoria complessiva. Ci sono poi delle condizioni ostative alla transazione fiscale coattiva, alcune di carattere oggettivo altre soggettive. La prima riguarda l’ipotesi che nei cinque anni precedenti il deposito della proposta, il debitore abbia concluso un’altra transazione nell’ambito di un adr, rendendosi poi inadempiente, con conseguente risoluzione di diritto della stessa. La condizione ostativa si verifica solo se il precedente adr sia stato risolto per inadempimento e ciò vuol dire che la norma non si incarica di evitare che il debitore si avvalga di un nuovo adr, trascorsi cinque anni dal primo, se regolarmente adempiuto.
Le condizioni soggettive
Le altre due condizioni, che si applicano solo se ricorrono congiuntamente, non rivestono carattere oggettivo, perché si ritiene siano relative alle scelte dell’imprenditore e, quindi, alla sua condotta. La prima pone un limite massimo alla debitoria nei confronti dei creditori pubblici all’80% rispetto al debito complessivo; la seconda è relativa sia a un debito tributario/previdenziale derivante prevalentemente da omessi versamenti, anche solo parziali, di imposte dichiarate o contributi nel corso di cinque periodi di imposta, anche non consecutivi; sia a un debito che deriva, per almeno un terzo del complessivo debito con i creditori pubblici, dall’accertamento di violazioni realizzate mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, medianti artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
La prima condizione si verifica quando il debito derivante dagli omessi versamenti in un quinquennio ammonta almeno il 50,1% – rispetto evidentemente al debito fiscale/previdenziale complessivo oggetto di cram down. La seconda condizione invece riguarda condotte dell’imprenditore latamente fraudolente. Tuttavia, essa potrebbe essere meglio precisata, in quanto, almeno a un’interpretazione letterale, anche una semplice contestazione, senza alcun vaglio giudiziario, bloccherebbe la possibilità del cram down. Indubbiamente dopo il correttivo ter, lo strumento dell’adr, almeno ai fini della risoluzione di crisi che dipendono in massima parte da debiti fiscali, presenta aspetti negativi e positivi.
Quanto agli aspetti negativi, sicuramente i requisiti soggettivi e oggettivi da ultimo introdotti lo rendono meno attrattivo rispetto al concordato preventivo in continuità, nel quale, da un lato, non sono previste percentuali minime ai fini del cram down e, dall’altro, non sono contemplati gli altri requisiti che devono sussistere nell’adr. L’aspetto positivo, invece, è dato dal fatto che il pagamento delle percentuali minime previste per legge può essere dilazionato in dieci anni. In più nell’adr non vi è la necessità di rispettare l’ordine delle cause di prelazione. Il profilo interessante del nuovo Codice della crisi è proprio questo: vi sono vari strumenti di risoluzione. Sono i consulenti, in accordo con l’imprenditore, ad avere la responsabilità di scegliere quello più adatto.