La separazione delle carriere monopolizza il dibattito pubblico e sembra rappresentare, al tempo stesso, una priorità del governo e la salvifica cura dei tanti mali della giustizia. Non sarà così per due ordini di ragioni, che vale la pena ripercorrere per comprendere come il problema sia altrove, e come questo rischi di essere esasperato da una modifica degli equilibri della magistratura. Uno: la separazione delle carriere è un atto dovuto. È la nostra Costituzione, nel prevedere un giudice “terzo ed imparziale”, a imporlo. Sostenere il contrario significa non comprendere il significato delle scelte fatte con l’adozione del processo accusatorio (1988) e della riforma del giusto processo (1999), scelte che nessuna forza politica sta sconfessando.
La posta in gioco
A guardare meglio, scopriremmo che una netta divaricazione dei percorsi professionali si è già realizzata (i cambi di casacca tra Pm e giudici sono limitatissimi). Lo scontro in atto tra esecutivo e magistratura si gioca su un altro tavolo. Se è chiaro a tutti che la deriva correntizia non fa bene alla magistratura, è altrettanto chiaro che negare il valore dell’associazionismo è pericoloso, e non si può non rilevare come neanche affidare al sorteggio l’elezione dei magistrati al Csm rappresenti una soluzione senza rischi: l’affrancamento da ogni controllo di accountability può incoraggiare l’azione di gruppi o centri di potere ancora più opachi degli attuali gruppi associativi. E arriviamo al secondo punto: un pubblico ministero separato dal giudice, con un suo organo di autogoverno, non rappresenterà, da solo, una garanzia di una miglior giustizia. Mentre il giudice è soggetto alla legge, e la applica per risolvere i conflitti, il pm dovrebbe trovare la sua Stella Polare nell’obbligatorietà dell’azione penale, massima garanzia di uguaglianza. Non ho mai dubitato della prima affermazione, mentre la seconda non può essere vera. E non si tratta di una responsabilità della magistratura. È impossibile perseguire tutti i reati. È quindi fisiologico che debbano essere individuati criteri di priorità, affinché un esercizio dell’azione penale opportuno escluda aree di arbitrio o abuso. La separazione delle carriere non fornirà risposta a questo problema di realtà. A far fronte a questi pericoli la separazione non basta, lasciando il nostro elefante nella stanza. Non necessariamente la soluzione deve essere sottoporre i pm al potere esecutivo. Al tempo stesso, un potere di accusa esercitato senza trasparenza e responsabilità è una negazione della giustizia, e pericolo per la democrazia.