Riforma Cartabia, parla D’Aluiso: «Da attuare tenendo conto della volontà del legislatore»

Dal primo marzo è entrata in vigore la riforma Cartabia che affronta alcuni degli aspetti più critici della giustizia italiana. È stata frutto di una profonda mediazione durante la scorsa legislatura ma non mancava chi auspicava un rinvio dell’entrata sua in vigore, affinché l’intera macchina potesse prepararsi meglio ad accoglierla. Tra questi non c’è il presidente dell’ordine degli avvocati di Bari Salvatore D’Aluiso che sottolinea il fatto che si tratti di una tempistica subita dal sistema della giustizia italiana per via delle richieste comunitarie.

Presidente, l’Anm (Associazione nazionale magistrati) ha rimarcato negli scorsi giorni che negli ultimi 35 anni ci sono state almeno dieci riforme della giustizia. Perché è così difficile trovare l’assetto giusto?

«Fino al 1989 non si era assistito a un cambiamento così rapido delle regole. La prima riforma, dunque, è durata cinquant’anni. Da quell’anno si sono susseguiti numerosi interventi legislativi cambiando radicalmente l’istituto della giustizia».

Perché lo si è fatto nuovamente?

«Per garantire maggiore efficacia. Il problema, però, è sempre lo stesso: qualsiasi modifica legislativa necessita di una attività interpretativa che ricade su uomini. Se questi ultimi non fanno proprio lo spirito della legge restano riforme incompiute».

Un esempio?

«Quella dell’udienza preliminare, proprio nel 1989. Doveva avere un effetto deflattivo sul dibattimento».

Non è andata così?

«No. Doveva servire a fare arrivare a processo solo un numero limitato di cause. Con questa riforma si prova nuovamente a intervenire incentivandone la funzione di argine e filtro. Bisognerà vedere se raggiungerà lo scopo».

Da cosa dipende secondo lei?

«Mi auguro sensibilizzi chi deve interpretare la norma. Tutto passa da qui».

Pensa che siano state eccessive le critiche alla riforma?

«Credo che contestare per intero tutte le modifiche realizzate sia avventato. Ci sono interventi buoni e importanti. L’importante è che vengano interpretati tenendo sempre presente la ratio del legislatore».

Quale aspetto, ad esempio, la convince di più?

«Il rafforzamento delle misure alternative alla reclusione carceraria. Penso sia un atto di vera civiltà giuridica. La pena detentiva molte volte è inutile, quando si tratta di reati non allarmanti ovviamente. Gli istituti previsti possono essere più efficaci nella rieducazione. Raggiungono meglio lo scopo».

Pensa che alla macchina della giustizia servisse più tempo e un rinvio dell’entrata in vigore fosse la strada giusta?

«Penso che il testo non fosse più in discussione e procrastinare senza modifiche poteva essere utile solo per l’organizzazione degli uffici. Non ci sarebbe stato altro senso per un ipotetico rinvio».

La “macchina” era pronta? Aiga, Anf, Anm e Uncc ritengono che senza risorse e assunzioni difficilmente le cose cambieranno. È d’accordo?

«È vero. Al di là di qualsiasi riforma, il problema degli investimenti e dell’impiego delle risorse resta prioritario. Su questo si gioca la partita più importante».

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