Ai fini dell’avvio di un percorso di normalizzazione della magistratura e, quindi, della giustizia, ormai vitale per la nazione, votare sì al quesito referendario del 12 giugno sulla separazione delle carriere tra giudici e pm rappresenta un punto cardine.
Oggi, a norme vigenti, chi superi il concorso in magistratura diventa magistrato e, fin dall’inizio della carriera, potrà optare per la funzione di pm o di giudice. Oggi la carriera è unica. Ciò comporta che, nel corso della carriera, ogni magistrato ha la possibilità di passare, anche più volte, dalla funzione inquirente a quella giudicante. Tale situazione finisce per creare una amalgama permanente tra gli inquirenti e i giudicanti che sono e si sentono colleghi; sono iscritti alle medesime chat, rigorosamente riservate ai magistrati, fanno parte della stessa Anm e delle stesse correnti, si votano e si eleggono tra loro al Csm.
Tutto ciò porta a una condizione totalmente distorta della funzione del giudicare laddove, ad esempio, la Cassazione emette sentenze (quasi sempre creative) con la precipua funzione di “rimediare” ai sempre più frequenti svarioni dei pm, in una distorta logica di autentica solidarietà e condivisione verso la funzione dell’accusa. Questa situazione impone il sì al referendum su questo quesito.
Ovviamente, ciò non risolverà del tutto il problema perché pm e giudici, restando comunque membri dell’ordine giudiziario, continueranno a essere governati dallo stesso Csm e a votarne i componenti togati. Del resto, il quesito referendario sulla separazione delle funzioni o carriere rappresenta una battaglia giusta ma pur sempre, ormai, divenuta di retroguardia. Oggi più che mai, quale che sia l’esito del referendum, è indifferibile adottare soluzioni più radicali e costituzionali dando piena attuazione all’articolo 107 della Costituzione, il quale prevede che dell’ordine giudiziario facciano parte solo i giudici, dovendo i pm essere privati della qualifica di magistrati, acquisendo il ruolo e la funzione di autorità amministrativa.
Ciò risolverebbe del tutto il problema, a partire dall’aspetto relativo alla composizione del Csm e renderebbe i giudici finalmente, veramente e pienamente indipendenti dall’accusa perché estranei a essa. Tuttavia, per questa “volata finale” occorrerà confidare nella capacità, sensibilità, senso dello Stato, forza e coraggio della prossima maggioranza parlamentare. E le premesse, purtroppo, non sono delle migliori.
Luigi Bobbio è Magistrato