I pubblici ministeri, Paolo Storari e Giovanna Cavalleri, sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano, ai sensi di quanto previsto dall’art. 58 del decreto legislativo n. 231/2001, hanno recentemente archiviato la posizione di una società rispetto alla possibile responsabilità amministrativa della stessa a seguito della commissione di reati tributari, riaprendo di fatto il dibattito sul rapporto tra reati tributari e 231 che, invero, pareva oramai definito a seguito dello specifico intervento del legislatore (art. 6, lettera a), 25-quinquiesdecies, introdotto dalla D.L. n. 124 del 2019) finalizzato appunto alla previsione tra i reati-presupposto dei reati tributari. In particolare, il provvedimento (decreto di archiviazione 9 novembre 2022, caso Dhl, che recentemente il visto della Procura Generale di Milano) tratta: i) la fittizietà degli appalti di manodopera, a seguito di disconoscimento dei rilevati indici sintomatici (eterodirezione del committente, assenza di rischio d’impresa, fornitura di macchinari e altri strumenti di lavoro da parte del committente oramai individuati da consolidata giurisprudenza); nonché ii) la configurabilità del reato presupposto di cui agli artt. 5 lettera a), e 6, lettera a), 25-quinquiesdecies D.lgs. 231/2001 (utilizzo di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti, simulando contratti di appalto in luogo di somministrazione di manodopera) commesso da soggetti apicali nell’interesse e a vantaggio dell’ente. Tralasciando per un attimo, seppur importanti ma trattati da altro interessante articolo, gli aspetti relativi alle procedure adottate dalla società per prevenire il rischio (modello organizzativo adottato ed attuato sin dal 2013 ed implementato nel 2017 e nel 2019 ed attività di verifica svolta dall’Organismo di Vigilanza), l’aspetto che più qui interessa è il riconoscimento della validità, proprio ai fini dell’estraneità dell’ente da responsabilità amministrativa, del comportamento della società relativamente al reato tributario contestato. Tale aspetto viene affrontato dai pm milanesi sia sul versante delle condotte risarcitorie e riparative tenute ex post facto dalla società, ai sensi dell’art. 17 D.lgs. 231/2001, ovvero l’integrale versamento all’Agenzia delle Entrate, mediante ravvedimento operoso, dell’imposta evasa, con interessi e sanzioni, nonché l’aggiornamento del modello, con specifico riferimento ai presidi per impedire la commissione di reati fiscali, sia relativamente all’applicazione alla fattispecie del principio ne bis in idem richiamato da costante giurisprudenza delle Corti europee (Corte Edu Grande Stevens, e Corte Gue Garlsson, Menci, Di Puma e Zecca). In particolare, quindi, richiamando e condividendo tali sentenze, i pm hanno ribadito che tale principio è violato ogniqualvolta l’oggetto dei due procedimenti sia un idem factum e la sanzione, divenuta definitiva per prima, potrebbe considerarsi penale nella sostanza. Nella fattispecie:
- i fatti di frode fiscale per cui si è proceduto ex D.lgs. 231/2001, sono esattamente gli stessi contestati dall’Agenzia delle Entrate nel processo verbale di constatazione: § Dichiarazione Iva fraudolenta (artt. Art. 1 co. 2 e 3; 5 co. 4 e 4-bis D.Igs. n. 471/1997) per l’illecito amministrativo fiscale; § Dichiarazione IVA fraudolenta (art. 2 D.lgs. n. 74/2000, richiamato dall’art. 25 quinquiesdecies D.lgs. n. 231/2001) per l’illecito da 231;
- le sanzioni tributarie applicate dall’Agenzia delle Entrate, devono/possono ritenersi “sostanzialmente penali” poiché le componenti dissuasive e afflittive della sanzione tributaria, non risultano essere finalizzate al mero risarcimento/indennizzo del danno cagionato (rif Cassazione n. 2245/2022): per i fatti di dichiarazione fraudolenta contestati le sanzioni comminate dall’art. 1 D.lgs. n. 471/1997 vanno dal 135 al 270 % dell’imposta evasa;
- le sanzioni previste dal decreto 231, ancorché sostanzialmente penali (cfr. Cass. S.U. sent. n. 52511/2016), risultano essere formalmente amministrative al pari di quelle previste dal D.lgs. n. 471/1997.
Proprio questo effetto “irragionevole” (riporto apposta testualmente la parola utilizzata nel provvedimento dai PM milanesi) è stato per anni l’aspetto più utilizzato dalla dottrina per scongiurare l’introduzione dei reati tributari tra i reati presupposto previsti dal decreto 231. Anzi, risultava essere anche una delle eccezioni mosse dalle difese allorquando alcuni giudici hanno inteso richiamare nell’ambito di applicazione del 231, benché non ancora espressamente previsti, i reati tributari – qualificati come reato fine – connessi a reati presupposto – qualificati come reato mezzo (per esempio reato di associazione a delinquere). A modesto parere di chi scrive, se è vero come è vero che era impensabile la mancata previsione tra i reati presupposto del decreto 231 dei reati tributari, poiché esempio emblematico dell’interesse e vantaggio per l’ente di comportamenti fraudolenti da parte di soggetti allo stesso riconducibili, è anche vero che la norma avrebbe potuto/dovuto contemplare, all’atto della previsione, per i casi in cui sull’ente, per un medesimo fatto, finiscono con il gravare sia le sanzioni contemplate dal D.lgs. n. 231/2001 sia quelle previste dal D.lgs. n. 471/1997, concetti di proporzionalità (rispetto al bene giuridico tutelato ovvero all’interesse dello Stato a percepire i tributi evasi tra l’altro già abbondantemente garantito considerata la particolare severità della sanzione amministrativa già prevista) e/o di compensazione (nel procedimento svolto per ultimo può occorrere tener conto della sanzione già irrogata).
Per ora dobbiamo consolidare la consapevolezza della dinamicità della materia, pur in presenza dell’intervento del legislatore, che, probabilmente, risulta essere la caratteristica più interessante e appassionante.
Salvatore Sodano è dottore commercialista a Bari e presidente della Commissione Nazionale del Cndcec “Compliance e modelli organizzativi 231”