Quali i rischi connessi all’attività degli Organismi di Vigilanza istituiti ai sensi del d.lgs. 231/01?

Gli esperti del settore hanno a lungo discusso in ordine alla possibilità che si configurasse in capo all’Organismo di Vigilanza una responsabilità di carattere penale nel caso di illeciti dell’ente commessi in conseguenza al mancato esercizio del potere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello (una responsabilità a titolo di concorso omissivo). Tale impostazione è stata fortunatamente ridimensionata e accolta la tesi (che si rinviene anche nell’ultima versione delle Linee Guida di Confindustria) per cui non si può pretendere che in capo all’OdV vi sia un dovere di attivazione per impedire il compimento del fatto di reato.

Nonostante tale approdo non si può – e non si deve – ridimensionare il delicato compito di chi è chiamato a svolgere, in forma monocratica o collegiale, il ruolo di Organismo di Vigilanza.

Come spesso accade, i principali rischi si verificano quando dalla fase di equilibrio si passa alla fase patologica. La contestazione di un reato ai sensi del d.lgs. 231/01 – che non presuppone di per sé la commissione del reato né un deficit organizzativo – comporta l’avvio di un difficile iter per la società che dovrà trovarsi a organizzare una difesa e nel mentre a tutelare il suo business e, non ultima, la sua reputazione.

In questa fase centrale è il ruolo dell’Organismo di Vigilanza, sia perché l’attività che avrà diligentemente posto in essere (e correttamente documentato) fino a quel momento sarà passata sotto la lente di ingrandimento delle indagini sia perché l’esercizio dei suoi compiti è elemento imprescindibile per la tanto sperata esimente.

L’Organismo di Vigilanza potrà essere sentito come testimone (dell’accusa e/o della difesa) nel processo penale o, ancora prima, escusso a sommarie informazioni testimoniali dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria ovvero a investigazione difensive dal difensore.

Non di rado chi ricopre il ruolo di Organismo di Vigilanza dovrà trovarsi a spiegare, nel fuoco incrociato del contraddittorio, cosa e come ha fatto e perché lo ha fatto, o ancora, cosa non ha fatto, in quest’ultimo caso motivando, a ragion veduta, che non si trattava di attività riconducibili alla vigilanza ma all’attività gestoria dell’ente.

Insomma, è una carica che presuppone competenza ed esperienza e comporta molte più responsabilità e diramazioni di quante, spesso, richiedente e richiesto possono immaginare in sede di nomina.

Valeria Logrillo è avvocata – Studio Legale Logrillo

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