Porzia Maiorano, dipartimento Ambiente dell’Ubiba: «La pesca a strascico sarà ridotta gradualmente»

Il recente intervento dell’Europa sulla questione della pesca a strascico vede il Paese coinvolto direttamente nel dibattito. Da un lato pescatori e proprietari di imbarcazioni manifestano preoccupazione per la sopravvivenza del settore, dall’altro la necessità di tutelare l’ecosistema marino, già messo a dura prova da anni.

Porzia Maiorano, docente del dipartimento di Bioscienza, Biotecnologie e Ambiente dell’Università degli studi di Bari, sottolinea che non può esistere tutela del settore senza tutela dell’habitat marino e viceversa.

Professoressa, cosa prevede la normativa attuale?

«Al momento in Italia è previsto il divieto di pesca oltre i mille metri di profondità e sulla fascia costiera entro le tre miglia e, comunque, ad una profondità non inferiore ai 50 metri. Tali restrizioni sono state definite per tutelare le specie sensibili che possono abitare i fondali o presiedere nelle fasce costiere, come ad esempio le prateria di Posidonia. Ci sono altre aree vietate a qualunque tipo ti pesca, tranne quella ricreativa, definite zone di riserva integrale delle aree marine protette e le Fishery Restricted Area- Fra».

Ne abbiamo qualcuna in Puglia?

«Certamente. A largo di Santa Maria di Leuca c’è un habitat a coralli bianchi di acqua fredda e a largo della zona di Bari c’è il Canyon di Bari, quest’ultima di recentissima istituzione».

Quanto impatta la pesca sugli ecosistemi?

«Non tutte le tipologie di pesca hanno ripercussioni negative sui fondali. Bisogna considerare che, tra le varie tipologie quella a strascico è la meno selettiva perché agisce con lo stesso principio dell’aratura sui terreni. Nonostante tutte la valutazione sulla tutela degli ecosistemi, ci sono ancora degli stock ittici che vengono sovrasfruttati e delle popolazioni che nel tempo si stanno riducendo. Il timore è che quanto fatto sino ad ora non sia stato sufficiente a controllare il depauperamento delle risorse. Per questo motivo bisogna cercare di evitare che arrivi nelle aree maggiormente sensibili. Da qui è nata la necessità della Commissione Europea di presentare un pacchetto di provvedimenti per regolamentarla meglio».

Cosa è previsto?

«Il Marine Action Plane, presentato a marzo, si pone l’obiettivo di avviare il ripristino degli ecosistemi marini attraverso una serie di direttive. Le indicazioni riguardano il graduale aumento delle aree marine protette fino ad arrivare ad un +30% nel 2030. Poi ci sono indicazioni che riguardano il miglioramento della qualità degli attrezzi da pesca e la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili».

Perché il dibattito è così acceso?

«Credo sia stato frainteso il messaggio. La questione che riguarda l’implementazione del 30% delle aree non significa vietare lo strascico ovunque e subito. Nessun problema ambientale può essere affrontato senza tener conto del comparto economico-sociale, sono importantissime anche le ricadute che si possono avere sulla tradizione dei luoghi. Un paese rivierasco come il nostro ha tradizioni di pesca che vengono da lontano e che vanno tutelate. Lo strascico è una pratica sicuramente da controllare, la richiesta di sostituirlo da subito o abolirlo non è indicata in nessun paragrafo del Marine Actin Plan. Le indicazioni suggeriscono di mantenere il divieto nelle aree già definite da tempo e aumentarle gradualmente nei prossimi anni nella percentuale indicata».

Quali saranno gli effetti positivi di queste misure?

«L’idea è quella di evitare di catturare individui che devono ancora crescere o riprodursi o ancora meglio specie molto piccole non commerciabili ma importantissime per la conservazione. Per questa ragione una selezione di tipo spaziale e\o temporale, aumentando le quantità di aree che sono ad esempio di riproduzione di molte specie, nei periodi in cui ciò avviene, per interdirle dalla pesca, è molto importante. Pensiamo a queste porzioni di mare come a dei serbatoi che continuamente riforniscono di pesci le zone vicine».

Come la politica può aiutare questa transizione del settore?

«Non si possono solo imporre divieti, bisogna anche diffondere la cultura della conservazione del sistema e degli habitat marini. Poi c’è tutta la questione economica: una così importante fase richiede attenzione, in questo senso la politica dovrebbe sostenere il settore e fare da guida. L’obiettivo è quello di pescare meno, in termini di tempo, ma meglio in termini di prodotti con un maggiore beneficio economico».

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