Pensioni: «Quota 102 è insostenibile. Meglio tornare al passato»

Un nuovo scossone sta per travolgere il mondo delle pensioni: tra quattro mesi torna in vigore la legge Fornero. Il Parlamento non ha approvato una proroga di quota 102 e difficilmente quello che si insedierà dopo le elezioni riuscirà a farlo in tempo. Si tornerà, dunque, a una uscita ordinaria dal mondo del lavoro a 67 anni, anticipata a 42 anni e 10 mesi gli uomini e 41 anni e 10 mesi le donne. Si tratta di una delle tante situazioni che la crisi politica ha lasciato in sospeso anche se, a detta di Francesco Amendolito, professore straordinario di diritto del lavoro dell’Università Lum, non è necessariamente un male.

Professore, i lavoratori devono rassegnarsi a lavorare per più anni?

«L’attuale struttura previdenziale non è sostenibile sul lungo termine. L’istituto del prepensionamento, e quindi quota 102, nel lungo termine porterà all’implosione del sistema pensionistico italiano. Sebbene possa essere comprensibile la volontà di molti di ritirarsi dalla vita lavorativa, dobbiamo essere chiari e sinceri nell’affermare che questa scelta non è economicamente fattibile per il nostro Paese, come d’altronde per tutti i paesi europei. Anche nella nazione con il sistema pensionistico più adeguato e sostenibile economicamente, come l’Olanda, l’età pensionabile è vicina ai 70 anni e si innalza anno dopo anno semplicemente perché diminuisce la massa di lavoratori attivi che genera il gettito necessario al pagamento delle pensioni, nell’ottica di una ovvia ed equa gestione solidaristica del welfare state».

Intanto, essendo in campagna elettorale, sono diverse le proposte sul tavolo.

«Quello delle pensioni è, come sempre, uno dei temi più caldi. Ebbene, pur volendo sposare l’idea di alcuni politici circa la necessità di una pensione minima, per garantire un livello di vita adeguato ai cittadini di qualsiasi età, affinché il raggiungimento di questi obiettivi sia economicamente sostenibile è essenziale rafforzare il sistema della fiscalizzazione degli oneri sociali e l’apporto contributivo. Tra l’altro ci sono proposte in concomitanza con il salario minimo e il reddito di cittadinanza basate sullo stesso principio che tuttavia, a mio avviso, andrebbero riviste e meglio gestite».

Cosa fare per aumentare il gettito fiscale?

«Bisogna necessariamente puntare su un sistema previdenziale più solido, dove il gettito non viene aumentato innalzando il valore del prelievo fiscale e quindi ricadendo sulle imprese, ma allargando la base contributiva, sia in termini di recupero del sommerso, con la lotta all’evasione ed al lavoro nero, che di incremento della massa di lavoratori attiva. Questo implica un progetto di riforma globale incentrato sullo sviluppo aziendale e di tutti coloro che contribuiscono al sistema economico del Paese».

Difficile senza aumentare le tasse.

«Supporre di risolvere i problemi intrinseci dell’attuale sistema previdenziale attraverso un generalizzato aumento del prelievo fiscale, che va ad incidere su operatori economici già in grandissime difficoltà, porterebbe alla paradossale conseguenza di favorire ed aumentare il reddito dei pensionati a discapito dei lavoratori attivi. Inoltre, questo significherebbe togliere alle aziende flussi di denaro che potrebbero essere reinvestiti nel sistema produttivo generando maggiore ricchezza. Parimenti, anche il ritorno alla legge Fornero implicherebbe un risparmio notevole per le casse dello Stato che potrebbe essere reinvestito».

Il più grande nemico del sistema pensionistico è la denatalità. Come se ne esce?

«La diminuzione progressiva del tasso di natalità rappresenterà – se pur non nell’immediato – un problema per assicurare il trattamento pensionistico per le future generazioni. In tale ottica, occorrerebbe pensare all’inserimento nel mercato del lavoro dei cittadini stranieri che saranno sempre più indirizzati a coprire i posti di lavoro rimasti vacanti a causa dell’invecchiamento dei residenti. In sostanza, favorire lo sviluppo imprenditoriale ed economico del Paese consentirebbe l’aumento dei posti di lavoro che, assieme ad una normativa sul salario minimo, creerebbe un sostanziale vantaggio non solo per il Sistema Paese ma anche per il welfare state».

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