Pena di morte, perché non ha senso e in Italia sarebbe un male devastante

Il dubbio che ha attanagliato il South Carolina è su quale pena sia meno doloroso e più umano.

L’alternativa che si è posta era se uccidere il condannato con un mix di farmaci, che talvolta non ha effetto, o ricorrere alla classica fucilazione.
Lo Stato americano, si è appreso dai principali organi di stampa, ha superato il complicato il dilemma. decidendo di sostituire il cocktail letale con i vecchi fucili.
La memoria mi riporta a quando ero un pessimo studente della. scuola media.
La mia maestra, a causa del fatto che ero figlio di un giudice, decise che dovevo parlare alla classe della pena di morte.
Ovviamente mio padre mi spiegò che questa non era ammessa dalla nostra Costituzione. Mi disse, inoltre, che la pena è finalizzata a punire il colpevole e deve servire a fargli comprendere l’errore commesso. Ma ciò che trovai un argomento insuperabile era la considerazione della possibilità dell’errore giudiziario, la possibilità che un innocente venisse ingiustamente giustiziato. Peraltro anche l’effetto dissuasivo, che la pena di morte dovrebbe avere, unico argomento a favore, credo che non sia neanche astrattamente ipotizzabile. Difficile pensare che un serial killer od un pericoloso terrorista abbandoni il proposito criminoso, temendo la fucilazione. La mia performance scolastica non fu brillante ma radicò in me la contrarietà alla pena capitale. Convinzione questa che l’esperienza professionale, gli anni passati nelle aule di giustizia, l’essere stato testimone di errori giudiziari ha cementificato. La pena capitale è un non senso, che se calata nell’esperienza giudiziaria del nostro paese costituirebbe un male devastante. Il nostro sistema processuale genera decisioni che non hanno alcuna affidabilità. L’ oltre ogni ragionevole dubbio, confine al di sotto del quale non si dovrebbe arrivare ad una sentenza condanna, è di sovente del tutto oltrepassato. Il dubbio paradossalmente non solo non costituisce uno sbarramento, ma talvolta, anzi spesso, ne costituisce il presupposto. Il difensore per fare prosciogliere il proprio assistito deve dipanare tutti i dubbi e non sollevare qualcuna. In dubbio pro reo è un latinetto oramai rimasto lettera morta. Uno stato dell’arte che determina l’aumentare del rischio dell’errore giudiziario e della condanna ingiusta. Il rischio che alle vittime del reato si aggiungano le vittime della giustizia, costituite da coloro che sono condannati ingiustamente. Appare inutile affermare che diversa è la condanna ingiusta dalla condanna ingiusta alla pena capitale. Il nostro sistema giudiziario deve pertanto fuggire dalla pena capitale e rincorrere invece un processo giusto, caratterizzato dalla durata ragionevole ed, in caso di condanna, dall’effettiva applicazione della giusta pena. Il nostro processo oltre a non avere un elevato grado di affidabilità è connotato da tempi irragionevoli e dal fatto che quando viene applicata la pena, questo accade anni, talvolta decenni dopo la commissione del fatto. Punire il colpevole trascorso un elevato lasso di tempo rispetto alla commissione del reato determina una tardiva risposta della giustizia che ha innumerevoli effetti negativi. Innanzitutto attenua se non elimina l’effetto dissuasivo della pena. In secondo luogo moltiplica il danno morale e materiale subito dalla vittima del reato, che non riceve giustizia in tempi accettabili. Infine comporta il rischio della punizione di un soggetto mutato rispetto a quello che ha commesso il reato. Un soggetto che può aver cambiato vita e che ha compre l’errore fatto.
Una pena certa, pertanto, serve al nostro paese e non una pena capitale.

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