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Payback, l’avvocato Dentamaro: «A rischio circa 112mila posti di lavoro»

L’applicazione del payback in ambito sanitario rischia di mettere in grave difficoltà molte aziende fornitrici di dispositivi medici. Si tratta di un meccanismo che le obbliga alla restituzione del 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni. L’art. 9 ter, comma 9, del D.L n. 78/2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015…

L’applicazione del payback in ambito sanitario rischia di mettere in grave difficoltà molte aziende fornitrici di dispositivi medici. Si tratta di un meccanismo che le obbliga alla restituzione del 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni. L’art. 9 ter, comma 9, del D.L n. 78/2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n. 125, nasceva con l’intento di favorire la razionalizzazione della spesa pubblica. Entro il 30 aprile, però, le aziende si trovano a dover liquidare una somma imprevista relativa agli anni che vanno dal 2015 al 2018. Una situazione che, secondo l’avvocato amministrativista Nicola Dentamaro, che sta seguendo circa sessanta imprese nel ricorso al Tar contro la norma, non è solo ingiusta ma anche incostituzionale.

Avvocato, si sta sopravvalutando la capacità delle piccole e medie aziende di reggere all’onda d’urto del payback?

«Più che sopravvalutando, mi sembra che il legislatore che introdusse il payback nel 2015 abbia completamente omesso una valutazione sull’impatto distruttivo di questa norma sulle micro, piccole e medie imprese, nonché sui risvolti tragici che colpiranno tutto il sistema sanitario regionale. Quest’ultimo oltre ad essere a corto di medici, dovrà far fronte alla interruzione degli approvvigionamenti di dispositivi medici, nonché dei servizi di assistenza, prestati quotidianamente dai fornitori».

Quante aziende pugliesi e lucane potrebbero essere coinvolte?

«Sono più di trecento e la maggior parte di queste saranno costrette a chiudere, se il Governo non interverrà con una misura risolutiva del problema».

Che impatto avrebbe sul mondo del lavoro?

«Parliamo di un comparto che in Italia vanta circa 112.000 dipendenti e che, in caso di chiusura delle aziende, si troverebbero dall’oggi al domani senza lavoro».

Il payback penalizzerebbe di più quelle Regioni che fanno meno ricorso ai privati nella sanità. C’è il rischio che accresca il divario nei servizi tra Nord e Sud?

«Essendo rivolto solo ai fornitori delle strutture pubbliche, incide chiaramente in maniera più pesante sulle regioni che hanno una un sistema sanitario ad impronta prevalentemente pubblica. Non è un caso se Toscana e Puglia siano due tra le regioni che più hanno sforato il tetto di spesa del 4,4 % del fondo sanitario nazionale, per l’acquisto di dispositivi medici, mentre la Lombardia, maggiormente orientata verso un sistema di sanità privata, riesca ogni anno a rispettare tale tetto, pur eseguendo molte più prestazioni sanitarie della Puglia. Non si tratta, dunque, di accentuare il divario tra Nord e Sud, quanto piuttosto tra due opposti orientamenti politico-amministrativi del sistema sanitario, penalizzando tutte le regioni che hanno preferito la sanità pubblica a quella privata».

Come interpreta il fatto che, con l’ultimo decreto bollette, potranno pagare con uno “sconto” quelle aziende che non hanno intrapreso ricorsi al Tar?

«Mi sembra un tentativo di rompere un fronte che, ad oggi, vanta circa 1600 ricorsi proposti dalle aziende fornitrici. Un tentativo che da un lato, contrasta con il diritto di difesa garantito dall’art 24 della nostra Carta Costituzionale; dall’altro non alletta la maggior parte delle aziende, in quanto gli importi a loro richiesti rimangono ancora troppo alti e, peraltro, non garantisce nulla per il futuro. I ricorsi, invece, hanno l’obiettivo di rimettere la norma sul payback alla Corte Costituzionale affinché ne venga dichiarata l’incostituzionalità. La contropartita chiesta dal Governo a fronte dello sconto non è oggi soddisfacente e per questo la maggior parte delle aziende hanno deciso di continuare l’azione intrapresa dinanzi al Tar Lazio».

Il 17 aprile molte aziende sono scese in piazza a Roma al grido di “no payback”. C’è da aspettarsi nuove iniziative di protesta?

«Non mi preoccuperei tanto delle proteste, quanto dei veri disagi che nei prossimi mesi colpiranno tutti noi: quando le regioni sospenderanno i pagamenti delle forniture, le aziende non potranno più acquistare dai produttori e quindi approvvigionare gli ospedali, creando il blocco dell’intero sistema. Ecco perché il problema, non riguarda solo le aziende, ma rischia di espandersi a macchia d’olio su tutta la sanità».

Quali alternative potrebbe mettere in campo il governo per risolvere il problema senza appesantire i conti pubblici?

«Il Governo, che già ha trovato circa 1,1 miliardo di euro per tamponare il problema, deve intervenire sulla norma per mettere al riparo le aziende dal quadriennio 2019-2022 e, soprattutto, deve garantire il rispetto delle finalità del payback, che non fu pensato per “recuperare” gli eccessi di spesa delle Regioni, con una azione successiva e riparatoria, bensì per “contenere e razionalizzare” i costi della spesa pubblica, in via preventiva! Inoltre, si dovrebbe iniziare a pensare di rimodulare i tetti di spesa in base ai singoli sistemi sanitari regionali, considerando la evidente incongruità degli stessi».

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