Opere pubbliche: serve collaborazione con il privato

L’idea che la realizzazione delle opere pubbliche competa allo Stato ha fondamenta storiche antiche che si fanno risalire alle canalizzazioni delle acque realizzate dalle civiltà fluviali della Mesopotamia (M.S. Giannini, Diritto pubb. dell’economia, 1995, 16). Agli antichi ordinamenti giuridici va il merito di aver pensato ed offerto alla collettività le infrastrutture necessarie, cioè quelle opere (strade, ponti, dighe, ecc.) che rendono possibile e migliorano la convivenza di un gruppo stanziato su di un dato territorio. L’opera pubblica è espressione, senza alcun pericolo di essere contraddetti, anche e soprattutto del grado di civiltà e sviluppo tecnologico di una data comunità e dello spirito dell’epoca. È inoltre manifestazione della generale capacità di ideare regole ed erigere istituzioni in grado di sostenere l’elevato costo della realizzazione e di controllarne la spesa in vista della realizzazione di un’opera rispettosa delle prescrizioni normative, funzionale, sostenibile, e mi si passi la licenza, bella da ammirare, armoniosa sotto il profilo architettonico (R. Roger, Un posto per tutti, Joan & Levi, 2018, cit. “Una società democratica merita edifici alla sua altezza, che definiscano la sfera pubblica e ne siano parte”). Nell’ordinamento giuridico italiano è il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 a disciplinare le principali fasi fisiologiche di realizzazione di un appalto di lavori, servizi e forniture. Venendo alla specifica tematica in esame è l’art. 106 del citato d.lgs. a disciplinare le c.d. ipotesi patologiche che potrebbero compromettere in tutto o in parte la realizzazione dell’opera e le condizioni al ricorrere delle quali è legittimo derogare al principio generale della immodificabilità in corso d’opera del contratto d’appalto e/o di un accordo quadro senza che l’Amministrazione aggiudicatrice sia tenuta ad avviare una nuova gara (a titolo meramente esemplificativo: varianti in corso d’opera; quinto d’obbligo; revisione dei prezzi; modifiche soggettive; proroghe tecniche, ecc.). Nel caso specifico e paradigmatico delle varianti in corso d’opera, la modifica deve essersi resa necessaria a causa di una circostanza non solo “imprevista” al momento della progettazione della gara ma pure “imprevedibile” con l’uso della ordinaria diligenza. Nell’attuale scenario economico, il tema centrale ruota, dunque, ad avviso del sottoscritto, intorno alla definizione ed esatta perimetrazione giuridica dei due seguenti concetti: quello di sopravvenienza e quello di rischio d’impresa. È nella declinazione in concreto di queste due nozioni che oggi si gioca la partita della riconduzione ad equilibrio dei contratti d’appalto con responsabilità e sensibilità. Responsabilità ancora maggiore da parte degli stessi operatori economici nella consapevolezza degli strumenti offerti dall’art. 106 del Codice degli appalti e delle altre ipotesi normative straordinarie (l.106/2021 e dd.ll. 4/2022 e 50/2022) e nel fornire alle amministrazioni validi elementi di prova dei maggiori costi sostenuti. Sensibilità di grado superiore da parte delle amministrazioni nell’instaurare un dialogo effettivo con gli operatori economici, senza, quindi, far cadere nel nulla le loro istanze e nel collaborare con essi lealmente al riequilibrio del sinallagma contrattuale sussistendone i requisiti di legge. L’interesse è comune ad entrambe le parti contrattuali, ma sublima anche ad interesse di noi cittadini, alla effettiva e tempestiva realizzazione dell’opera. Valga ben in proposito quanto pragmaticamente affermato dall’economista inglese John Maynard Keynes: “When the facts change, I change my mind. What do you do, sir?”.

Paolo Clemente è Dottore di ricerca in Diritto pubblico – Uniba

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