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Nuova chance per chi ha ricchezze all’estero ma anche per lo Stato di “fare cassa”

Si torna a parlare di una nuova edizione del rientro dei capitali dall’estero e non solo. Il Governo sarebbe intenzionato, ad offrire un’ulteriore chance ai possessori di ricchezze all’estero non dichiarate. Il d.l. 193/16 operò una prima riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria disciplinata dalla legge 186/14, in un intervallo temporale dall’ottobre 2016…

Si torna a parlare di una nuova edizione del rientro dei capitali dall’estero e non solo. Il Governo sarebbe intenzionato, ad offrire un’ulteriore chance ai possessori di ricchezze all’estero non dichiarate. Il d.l. 193/16 operò una prima riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria disciplinata dalla legge 186/14, in un intervallo temporale dall’ottobre 2016 al luglio 2017. A tal fine, furono introdotte disposizioni sul cosiddetto “monitoraggio fiscale”. La legge del 2014 introdusse una procedura straordinaria di collaborazione volontaria tesa a consentire ai contribuenti di riparare alle infedeltà dichiarative passate e porre le basi per l’avvio di un rapporto col fisco improntato alla reciproca fiducia. L’opportunità di una riapertura dei termini per la regolarizzazione è indotta dalla scelta di offrire un’ulteriore opportunità derivante dall’intensificazione della lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale a parte delle Autorità fiscali dei Paesi più avanzati. Non sono estranee esigenze di far cassa che, secondo una stima, si aggirerebbe intorno ai quattro miliardi. La disciplina del 2014, articolata in una procedura di collaborazione volontaria internazionale ed una nazionale, ha consentito di sanare le violazioni dichiarative compiute sino al 30 settembre 2014. La cosiddetta voluntary internazionale ha consentito ai contribuenti che avevano violato gli obblighi dichiarativi in materia di monitoraggio fiscale, ovvero che non avevano indicato nella propria dichiarazione annuale dei redditi il valore degli investimenti e/o delle attività di natura finanziaria detenute all’estero, di regolarizzare la propria posizione fiscale. La cosiddetta voluntary nazionale ha consentito, invece, ai contribuenti non destinatari degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale di definire le eventuali violazioni connesse agli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché le violazioni relative alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta. Il perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria dà diritto a significative attenuazioni delle sanzioni di natura amministrativa e, in presenza delle condizioni normativamente previste, ad esimenti penali per alcuni reati tributari (articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), nonché per i reati di riciclaggio (articolo 648-bis codice penale), di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (articolo 648-ter c.p.), e di autoriciclaggio (articolo 648-ter.1 c.p.). La disciplina inizialmente prevista dal legislatore per la collaborazione volontaria è stata oggetto di varie modifiche normative succedutesi nel corso del 2015 e del 2016. L’operazione di rientro dei capitali ha avuto, sin dall’inizio, una ricaduta sull’accertamento e sui termini a disposizione dell’Amministrazione finanziaria, nel senso che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute all’estero ma non dichiarati al fisco si presumono, ai soli fini fiscali, costituiti con redditi sottratti alla tassazione e i termini a disposizione dell’Agenzia delle Entrate sono raddoppiati (gli attuali cinque anni, ad esempio, sono portati a dieci). Dobbiamo ritenere, quindi, che anche gli annunciati provvedimenti sul rientro conserveranno, molto probabilmente, lo stesso carattere funzionale, che assicura al Fisco i poteri di controllo conformati sul passato. Dovrebbe, dunque, permanere il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nel 2021, secondo il quale la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non ha natura procedimentale ma sostanziale, con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui al medesimo art.12 del decreto del 2009, commi 2-bis e 2-ter, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché quelle disposizioni si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore, quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale che vuole conseguiti con redditi sottratti alla tassazione gli investimenti esteri.

Antonio Damascelli è presidente dell’Unione Camere avvocati tributaristi

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