Educazione finanziaria? Sì, ma a delle condizioni.
Se lo scopo dell’educazione finanziaria fosse trasformare i cittadini italiani in trader, consulenti o gestori, insomma nel trionfo del fai da te (modello Alpitour), le perplessità sarebbero molte. Un parallelismo con la salute chiarisce il punto: qualche principio base sul funzionamento del corpo o su una dieta equilibrata è utile a tutti, ma l’automedicazione , magari attingendo a internet, può causare danni. Lo stesso vale per i mercati finanziari, dove pensare di “sapere” senza conoscenza può portare a disastri economici.
Il perimetro dell’educazione finanziaria
Dunque, fino a dove deve spingersi l’educazione finanziaria? L’obiettivo ragionevole è fornire conoscenze di base sul funzionamento degli strumenti finanziari principali: cosa sono azioni e obbligazioni, come reagiscono a tassi di interesse variabili, quali conseguenze ha una recessione, come l’inflazione impatta sui rendimenti. Sono saperi fondamentali che dovrebbero entrare nei curricula scolastici, idealmente negli ultimi anni delle scuole superiori.
Inoltre, elementari nozioni su prodotti finanziari come conti deposito, conti corrente in euro o valuta e certificati di investimento dovrebbero essere patrimonio minimo di ogni cittadino.
Chi deve insegnare queste competenze? La scuola dell’obbligo sembra la sede più naturale, purché le istituzioni si attivino. Altrimenti, spazi di formazione privata qualificata potrebbero occupare il vuoto, ma con attenzione alla qualità.
Cosa escludere dall’educazione di base
Non deve rientrare nella formazione generale ciò che riguarda l’analisi tecnica e fondamentale dei mercati, i pattern di prezzo, la macroeconomia applicata alla finanza o la pianificazione finanziaria avanzata: materie di competenza di professionisti formati in università o master specialistici. Resta poi irrisolto il problema della formazione dei trader, spesso di scarsa qualità e talvolta borderline rispetto alla legalità, argomento che meriterebbe un approfondimento a parte.
Da prodotto d’élite a strumento di massa
Questa base di educazione finanziaria diventa particolarmente importante anche alla luce dell’evoluzione di alcuni strumenti come i certificati di investimento. Tradizionalmente riservati a clienti top gestiti da private banker, stanno infatti diventando sempre più accessibili a investitori retail e la loro diffusione potrebbe aumentare significativamente nei prossimi anni.
Rendimento e rischi in crescita
Il mercato azionario americano ha restituito rendimenti annuali medi del 7-8% lordo nel lungo periodo. Nonostante ciò, alcuni prodotti consentono potenziali rendimenti superiori con rischi comparabili. Nei mercati italiani, investire sull’indice azionario può fruttare fino al 14-15% annuo, mentre su titoli bancari specifici si possono raggiungere il 18%, con ovviamente rischi più elevati. Certificati più remunerativi legati a titoli americani ad alta volatilità offrono spazi ulteriori ma con rischio aumentato. Nel 2023 i volumi di scambio sui certificati (esclusi i prodotti a leva più rischiosi) sono arrivati a 12 miliardi di euro in Italia, in crescita rispetto agli 8 miliardi del 2022.
Che cos’è un certificato e come funziona?
Il certificato è uno strumento derivato cartolarizzato con valore collegato a sottostanti come azioni, indici, materie prime o valute. La tipologia più diffusa è quella a capitale condizionatamente protetto: il prodotto paga cedole periodiche se nessuno dei sottostanti scende oltre una soglia (solitamente il 40 per cento), spesso con meccanismi di “effetto memoria” che permettono di recuperare cedole saltate se i titoli risalgono. Alla scadenza (tipicamente 2-3 anni), se nessun sottostante ha perso più della soglia, viene restituito il capitale nominale; in caso contrario, il rimborso è proporzionale alla perdita peggiore.I certificati sono quotati in mercati secondari, quindi liquidabili a prezzi variabili secondo l’andamento dei sottostanti, e spesso sono callable, cioè rimborsabili anticipatamente da parte della banca emittente. Fiscalmente, i guadagni sono tassati al 26 per cento, con possibilità di compensazione delle minusvalenze su azioni e obbligazioni.
Conclusioni
L’educazione finanziaria, strutturata con criteri chiari e limiti definiti, può aiutare ogni cittadino a comprendere i mercati e i prodotti più diffusi, evitando i rischi del fai da te. In parallelo, strumenti come i certificati stanno diventando sempre più accessibili, sottolineando l’importanza di una formazione consapevole e diffusa.
Portare la finanza tra i saperi di base, soprattutto nella scuola, rappresenta una sfida e un’opportunità fondamentale per il futuro del risparmio italiano.
Giuseppe Di Vittorio è giornalista economico-finanziario