Lo strapotere dei partiti nel risultato delle urne

La vigente legge elettorale prevede che i candidati siano scelti dai partiti o dai movimenti, che abbiano una rappresentanza in Parlamento e, quindi, solo questi hanno il potere di presentare le liste senza raccogliere le firme degli elettori. Questo meccanismo determina un rapporto tra l’organo direttivo del partito ed i candidati prescelti, che incide sull’autonomia del parlamentare e riduce la partecipazione democratica dell’elettore alla votazione. Il fenomeno non è attenuato dalla possibilità, per chiunque, di presentare una lista, perché questa ipotesi è puramente teorica, come si vedrà.

Altro meccanismo influente è quello collegato ai cosiddetti listini bloccati; sicché quale che sia il voto dell’elettore, se quel partito prende il minimo per l’elezione di un parlamentare, il candidato prescelto dal partito raggiungerà il Parlamento indipendentemente dai voti. In quest’ultimo caso, egli è certamente soggetto, almeno tendenzialmente, alla disponibilità politica di chi lo ha prescelto. In tal modo, perciò, la democrazia risulta un po’ ridotta e la rappresentanza parlamentare un po’ condizionata. È vero che sistemi diversi possono essere aperti ad influenze organizzative non apprezzabili sugli elettori e sulle loro forme di aggregazione.

Tuttavia la situazione attuale è abbastanza sbilanciata a favore della direzione dei partiti e dei movimenti, ossia dei loro dirigenti o leader. Si deve aggiungere che, durante il periodo di formazione delle liste, vi sono interventi delle autorità inquirenti che, pubblicizzati sui giornali, tv e social, fanno escludere alcuni candidati (che poi risultano totalmente innocenti). Emerge che, in fondo, anche il potere giudiziario acquista una sua influenza sulla formazione delle liste, mentre l’elettore resta emarginato alla sola espressione del voto finale alla lista o al candidato uninominale che, talvolta, non determina affatto l’elezione di uno o di altro candidato, secondo la scelta dell’elettore. Ai fini di una modifica legislativa si può immaginare, per il futuro, che le candidature, nei partiti, debbano essere precedute da una consultazione interna al partito, aperta o chiusa; una specie di elezioni primarie (stando attenti che non vengano manipolate), come deriva da alcune esperienze di altri paesi ma anche del nostro sistema, quando alcuni partiti hanno seguito questo itinerario. L’altro blocco di ingresso al Parlamento, come già accennato, deriva dal privilegio che hanno i partiti nel presentare le liste senza raccolte di firme. Chiunque, in teoria, può presentarne una; però, non essendo collegati ad un partito o movimento esistente in parlamento, questi deve raccogliere un numero notevole di firme che attenua la possibilità di realizzare il risultato di presentazione delle liste.

La classe politica si rigenera dentro se stessa; è difficile fare entrare linfe differenti. La diserzione delle urne elettorali, da parte degli elettori, diventa un tradimento a se stessi ed aumenta ancor più l’influenza del potere di coloro che condizionano la scelta delle candidature. Oggi, d’altra parte, non vi è più una scelta ideologica tra i vari partiti e programmi, le cui differenze sono attenuate (pur se appaiono accentuate nella campagna elettorale), come avviene negli Stati Uniti d’America tra i due partiti. Hanno quasi gli stessi programmi, ci sono solo differenze di raggruppamenti, di coalizioni e di interessi. L’inesistente influenza dell’elettore sulla scelta del candidato non porta che a considerare decisiva la sua influenza sulla scelta del voto, solo per la quota residua di valutazione che gli resta. In queste condizioni, nella civiltà e cultura dell’immagine, la scelta dell’elettore passa attraverso un meccanismo che in parte personalizza la politica: l’elettore (non appartenente ad un partito o ad un movimento esistente in parlamento) può essere indotto al suo voto dalla preferenza per un leader piuttosto che per un altro oppure dal criterio di alternanza o di rotazione delle forze politiche da scegliere per il governo oppure, infine, da criteri personali. Su questo l’elettore deve riflettere e, quindi, non deve astenersi dall’esprimere il suo voto, in modo da poter attenuare una scelta di vertice con la sua minima, ma pur importante influenza di base.

Aldo Loiodice è ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Bari

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