Quando si parla di Pnrr è ormai necessario guardare in faccia la realtà, in un momento storico in cui troppi sembrano vivere completamente distaccati da essa. L’Italia è fanalino di coda per capacità di utilizzo dei fondi strutturali, avendo speso il 30,7% delle risorse destinatici nell’ultima programmazione contro una media europea che supera il 40%. Questo per molteplici motivi. Abbiamo problemi strutturali, sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo, con i dipendenti pubblici chiamati a gestire le progettualità e più in generale con la macchina amministrativa della PA.
Abbiamo problemi strutturali con le normative nazionali, in primis quella sugli appalti pubblici che non si è ancora riusciti a snellire come sarebbe necessario. Abbiamo problemi strutturali di efficacia e di efficienza delle centrali di acquisto che ad oggi hanno razionalizzato ben poco il public procurement. Abbiamo problemi strutturali con le normative regionali e comunali, penso ad esempio alle leggi urbanistiche e ai regolamenti edilizi.
Abbiamo problemi contingenti, ma che potrebbero diventare strutturali, con gli approvvigionamenti e con i costi delle materie prime, dei prodotti e dei manufatti per l’edilizia, già cresciuti del 40% prima del picco della crisi energetica. Abbiamo problemi strutturali con i nuovi professionisti della sanità che dovranno gestire le nuove infrastrutture e i nuovi servizi per la territorializzazione. Abbiamo problemi strutturali nel reperire le risorse per la gestione delle nuove infrastrutture e dei nuovi professionisti. Solo alla voce sanità territoriale si stima un incremento di 2 miliardi all’anno. Si potrebbe continuare, ma credo sia chiara la dimensione del problema. La realtà con la quale dobbiamo riprendere contatto è una sola: non siamo oggi in grado di realizzare l’impianto del Pnrr nei tempi e nei modi stabiliti.
Certo, si potrebbe far finta di niente, iniziando a giocare a guardie e ladri con l’Ue ma ottenendo un unico risultato: sprecare un sacco di risorse, aumentare l’indebitamento del paese senza dare ai cittadini e agli imprenditori risposte efficaci. Ricordo, infatti, che 120 miliardi sono prestiti che dovremo restituire. Se questa è la realtà, ci sono alcune azioni che potrebbero evitare il disastro.
In primo luogo bisogna subito, per ragioni di serietà, rinegoziare gli impegni presi e chiedere all’Ue una dilazione triennale dei tempi di realizzazione del piano. Questo per permettere la realizzazione di riforme strutturali che incidano anche su un significativo riorientamento della spesa pubblica e parallelamente per definire progetti che non siano vecchi e superati dalla necessità di adottare un approccio sistemico è molto più di una semplice impressione. Bisogna altresì definire un metodo di progettazione che escluda i progetti che non incidono sulle 4 dimensioni della sostenibilità territoriale. In parallelo alla progettazione della componente materiale, è necessario attivare la formazione di quel capitale intellettuale e umano che dovrà garantire l’erogazione dei nuovi servizi. Infine, è ineludibile aprire un serio e non più dilazionabile dibattito sull’architettura dello Stato e sui suoi ormai insostenibili costi. Senza tali azioni, il Pnrr non sarà solo un’occasione sprecata ma, peggio, una costosa occasione sprecata.
prof. Francesco Manfredi
Ordinario di economia aziendale Università Lum