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Libertà di riunione e di protesta: il Governo fa cilecca al primo passo

Qualche giorno dopo l’insediamento del nuovo Governo – avvenuto nel bel mezzo di una crisi energetica e climatica e tra sporadici accenni al rischio di una guerra mondiale – l’attenzione dell’esecutivo e della comunità pubblica è stata subito catturata da un tema nuovo, indubbiamente “fresco” e verosimilmente di relativo impatto sociale: i rave party. La…

Qualche giorno dopo l’insediamento del nuovo Governo – avvenuto nel bel mezzo di una crisi energetica e climatica e tra sporadici accenni al rischio di una guerra mondiale – l’attenzione dell’esecutivo e della comunità pubblica è stata subito catturata da un tema nuovo, indubbiamente “fresco” e verosimilmente di relativo impatto sociale: i rave party.

La ragione è ormai nota: l’introduzione di una nuova fattispecie di reato che incrimina le condotte di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Il neo insediato Consiglio dei Ministri ha di fatto inaugurato la stagione legislativa con il decreto legge n. 162 del 2022, che ha inserito il nuovo art. 434 bis nel codice penale.

Diciamolo subito: è sbagliata la norma, è inadatto lo strumento legislativo, è inopportuno l’intervento normativo.

La norma è sbagliata per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, così come formulata dal Governo, essa lascia all’autorità giudiziaria chiamata ad applicarla uno spazio di manovra eccessivamente ampio, destando dubbi di legittimità costituzionale per violazione dei principi di precisione e determinatezza.

Il delitto sarebbe consumato nel momento in cui il “raduno” – realizzato mediante l’invasione di terreni o edifici altrui commessa da almeno 50 persone – pone in pericolo l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Quando può dirsi realizzato il pericolo? E, soprattutto, di quali “raduni” si parla? L’occupazione di una scuola da parte di studenti ai fini di protesta pacifica può definirsi tale?

Sembra, in altre parole, che l’unico “pericolo” ben definito sia quello che corrono la libertà di riunione e di protesta.

In secondo luogo, la pena edittale è gravemente sproporzionata rispetto al disvalore del fatto.

La sanzione prevista per gli organizzatori dei raduni – da tre a sei anni di pena detentiva – comporta rilevanti conseguenze dal punto di vista processuale. Per citarne una, si pensi all’esclusione dall’ambito di operatività di istituti quali la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.

Vi è di più. La pena prevista consente l’utilizzo di uno strumento particolarmente invasivo del diritto alla riservatezza della persona: le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche. Si tratta di uno strumento pensato per reati particolarmente gravi e di difficile accertamento, che – in questo modo – verrà applicato nei confronti di giovanissimi per un reato, come detto, di relativo impatto sociale.

Ancora: i ravers e gli altri organizzatori e partecipi dei “raduni illegali” sono talmente pericolosi da meritarsi persino le misure di prevenzione previste dal codice antimafia.

Siano, infine, consentite alcune riflessioni finali. Nonostante la tendenza legislativa – ormai consolidata – di segno opposto, il decreto legge rimane uno strumento inadatto all’introduzione di norme incriminatrici. L’urgenza che connota i lavori del Governo per la sua emanazione e la caducità delle sue previsioni mal si confanno, infatti, alla materia penale. In ultimo, in un momento storico quale è quello attuale pare quantomeno bizzarro che i provvedimenti d’urgenza si occupino di ravers e di condotte – quali quella di invasione arbitraria di edifici – già sufficientemente punite dall’attuale legislazione penale.

Giuseppe Fornari è Founding Partner “Fornari e Associati”

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