Legge di bilancio, parla Elbano De Nuccio: «Ogni riduzione delle tasse va accolta con favore»

«L’attuale aumento dei prezzi ha delle cause straordinarie ed esogene, per questo la stretta monetaria rischia di frenare eccessivamente la fragile crescita economica in atto». Ad affermarlo è Elbano De Nuccio, presidente dell’Ordine dei Commercialisti, impegnato negli scorsi giorni per il congresso nazionale della categoria.

Presidente, insieme alla nuova legge di bilancio è stata approvata in consiglio dei ministri la riforma dell’Irpef, con il passaggio da quattro a tre aliquote. Al di là della semplificazione, che non fa mai male, chi ci guadagna e chi ci perde?

«Può sembrare paradossale per un governo di centrodestra, ma gli autonomi, se non ammessi al regime forfetario, restano sfavoriti. Con 20 mila euro di reddito, il lavoratore dipendente paga infatti un’imposta di 1.958 euro, mentre il lavoratore autonomo in regime ordinario un’imposta di 3.828 euro, con una penalizzazione evidente per questi ultimi e per i pensionati che pagano un’imposta di 3.385 euro. La manovra non incide quindi sull’equità orizzontale dell’Irpef, lasciando inalterato il divario tra le diverse categorie di contribuenti con redditi medio-bassi. All’aumentare del reddito, tale divario si riduce fino ad azzerarsi con un imponibile di 50mila euro. Fino a 26mila euro gli autonomi in regime forfetario sono sfavoriti rispetto ai lavoratori dipendenti, dopodiché la situazione si inverte. Il taglio di due punti percentuali dell’aliquota Irpef per i redditi da 15 mila a 28 mila euro si traduce in un risparmio d’imposta di poche decine di euro per i redditi appena superiori a 15 mila euro, fino a un massimo di 260 euro annui per i redditi da 28 mila euro in su. In media, il risparmio si attesta sui 160 euro annui (22 euro mensili). Per concentrare i benefici sui redditi medio-bassi, sopra i 50 mila euro il taglio dell’aliquota viene sterilizzato da una franchigia di 260 euro per chi si avvale di detrazioni. Gli altri, invece, pagheranno 260 euro in meno anche se dichiarano più di 50 mila euro».

Tanto la “nuova” Irpef quanto i provvedimenti approvati nella legge di bilancio saranno sufficienti a compensare la perdita del potere d’acquisto subito dalle famiglie nell’ultimo anno?

«Il contesto geopolitico in cui la Manovra si trova a operare non ha, evidentemente, reso possibili misure più incisive. Rimane pertanto il limite di un intervento sul taglio delle aliquote Irpef e sulla riduzione del cuneo contributivo che è circoscritto al 2024 e che dovrà essere confermato e rifinanziato in futuro. Si spera quindi che nel prossimo anno si possano trovare le coperture per rendere la manovra strutturale. Nel suo insieme, l’intervento resta tuttavia positivo, perché tutto ciò che riduce la pressione fiscale, ancorché in misura limitata, va naturalmente salutato con favore».

La Lega è tornata a parlare di una nuova mini-pace fiscale, circoscritta al mondo del commercio. L’evasione intanto continua ad essere molto alta. C’è spazio per una nuova rottamazione?

«La rottamazione-quater, ossia l’ultimo intervento di definizione agevolata dei carichi affidati all’Agente della riscossione è stato approvato con l’ultima legge di bilancio, quella relativa al 2023, e si riferisce alle cartelle di pagamento e ai carichi affidati dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. La delega per la riforma fiscale in fase di attuazione è diretta a modificare in modo incisivo le regole in materia di accertamento, riscossione e sanzioni, nella prospettiva comune di stabilire un più equilibrato rapporto tra Fisco e Contribuenti. Una volta che il disegno riformatore avrà trovato attuazione può ritenersi naturale “chiudere con il passato” e prevedere una nuova edizione della rottamazione che abbracci anche i carichi più recenti affidati all’Agente della riscossione dal 1° luglio 2022 fino a tutto il 2023».

Un tema su cui il governo ha finora glissato è il salario minimo. Opposizioni e sindacati invece stanno premendo molto. Perché in Italia la contrattazione collettiva non è riuscita a fermare l’impoverimento dei lavoratori?

«L’efficacia dei contratti collettivi nazionali investe in primis il problema legato alla rappresentatività dei sindacati. Nonostante gli accordi interconfederali abbiano regolato la questione in modo abbastanza preciso nel settore privato, siamo in una situazione di non riconoscimento legale di queste regole. Sciogliere il bandolo della matassa presuppone due cose: l’individuazione di una tecnica di misurazione e selezione degli agenti negoziali (chi sono i soggetti collettivi legittimati e riconosciuti) e poi – sempre in riferimento all’estensione generale della parte salariale del contratto collettivo – stabilire qual è la categoria e l’ambito di riferimento. Questo è il contesto in cui deve collocarsi la riflessione sul salario minimo legale che non può tuttavia rimanere isolata, ma va considerata unitamente a misure più ampie, tra cui innanzitutto la riduzione strutturale del cuneo fiscale che grava sul costo del lavoro, per dare un aiuto alle imprese anche attraverso il riequilibrio complessivo del costo del lavoro. L’esigenza è infatti quella di trovare un bilanciamento. Ma come ogni questione connessa al costo del lavoro, bisogna fermarsi a riflettere sul rapporto tra sindacato e pubblici poteri».

Con la guerra alle porte dell’Europa, adesso anche sul versante meridionale, quanto può reggere ancora l’economia italiana ai tassi così alti della Banca centrale?

«Quando un sistema economico si trova in una fase di stallo o di recessione, è fondamentale avere i tassi di interesse molto bassi, in modo da incentivare la spesa dei consumatori e gli investimenti delle imprese, prendendo denaro in prestito. Se invece si è in un periodo di alta inflazione, come in questo momento storico, può essere utile incrementare il costo del denaro al fine di disincentivare la domanda e calmierare i prezzi. L’attuale aumento dei prezzi ha tuttavia delle cause straordinarie ed esogene, per questo la stretta monetaria rischia di frenare eccessivamente la fragile crescita economica in atto, senza influire positivamente sull’inflazione, andando a causare una situazione di possibile stagflazione. È quindi essenziale grande cautela da parte della Bce nel procedere a ulteriori interventi sui tassi di interesse ed è chiaro che, in particolare per le aree più svantaggiate del nostro Paese, sia necessario accompagnare le misure di politica monetaria con misure di incentivazione degli investimenti e della nuova occupazione. A tal riguardo, il decreto delegato sulla riforma dell’Irpef approvato in questi giorni dal governo è un buon punto di partenza in quanto introduce per i neo assunti nel 2024 un’agevolazione sotto forma di maggiorazione del 20% del costo fiscalmente deducibile, ulteriormente incrementata del 10% per chi assume donne con almeno due figli minori di diciotto anni o prive di impiego da almeno sei mesi, giovani under 30, ex percettori di reddito di cittadinanza e persone con invalidità. Questa misura si somma poi con la decontribuzione per chi assume nel Mezzogiorno».

Il ricorso a ulteriore deficit di sedici miliardi per finanziare la legge di bilancio sta contribuendo a fare crescere i rendimenti dei titoli di Stato e a novembre le società di rating sono chiamate a esprimersi sul debito italiano. C’è il rischio di un nuovo crollo della fiducia internazionale nei confronti dell’Italia come nel 2011?

«I risultati positivi che la seconda emissione del Btp Valore ha riportato, con una raccolta complessiva di 17,23 miliardi di euro – leggermente inferiore ai 18,1 miliardi di euro della prima edizione–, vanno oltre il target che il dipartimento del Tesoro si era prefissato. È un segnale di fiducia molto importante nei confronti del nostro Paese, che è stato raggiunto anche grazie agli investitori internazionali, che hanno finanziato infatti il debito italiano. L’imperativo è dimostrare che l’Italia è solida e credibile. In questo senso sono rivolti gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella Nadef. Se ciò accadrà, si potrà ragionevolmente essere ottimisti sulle capacità dell’Italia di garantire la stabilità dello spread e di scongiurare i rischi di downgrade del debito pubblico, in occasione del verdetto che le agenzie internazionali di rating esprimeranno nelle prossime settimane sull’affidabilità del nostro Paese».

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