Gli attuali scenari politico-economici, nazionali ed internazionali, dettano un trend sempre più forte affinché le imprese medie e piccole, in special modo quelle dell’agri-food protagoniste della filiera, possano restare sul mercato e diventare competitive: l’aggregazione. Non è un caso che si senta parlare sempre più di frequente di “Networked Economy”. Ebbene, una forma giuridica molto flessibile è il Contratto di Rete, in virtù del quale più imprenditori si aggregano attorno ad un progetto condiviso. I partecipanti si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato (art. 3 co. 4-ter D.L. n. 5/2009 conv. in L. n. 33/2009, modif. D.L. n. 83/2012 e del D.L. n. 179/2012 conv. L. 221/2012). Il legislatore nel 2020 ha nuovamente affrontato il tema delle reti con il D.L. del 19 maggio 2020 n. 34 (D.L. – rilancio) convertito in L. 17 luglio 2020 n. 77. Orbene, l’articolo 43 bis consente alle imprese di poter fare ricorso al contratto di rete per finalità solidaristiche col dichiarato obiettivo di aiutare le aziende a mantenere i livelli occupazionali nelle filiere in crisi. Lo schema adottabile è duplice: la rete soggetto (con fondo patrimoniale e propria soggettività giuridica) e la rete contratto, più diffusa. Possiamo dire che il fine e la durata contraddistinguono le reti da altre forme di aggregazione quali i Consorzi e le Ati, in cui manca un programma comune che si protragga nel tempo. La rete garantisce invece il mantenimento dell’identità e dell’indipendenza della singola impresa retista partecipante e al tempo stesso il miglioramento della dimensione necessaria per competere sul mercato globale. Un ulteriore vantaggio è la condivisione delle informazioni e l’esaltazione del principio della competenza: la stessa possibilità di prevedere la partecipazione di professionisti nei contratti di rete permette alle retisti di ricorrere a competenze e specializzazioni professionali complementari, senza doverne sopportare integralmente il costo. Peraltro, con la Legge n. 81 del 2017, cd. Jobs Act, è stata prevista la possibilità di adottare il contratto di rete anche tra soli professionisti. “Fare rete” è un espressione ormai entrata anche nel linguaggio comune e vuol dire muoversi/promuoversi su tutti i fronti, anche in quegli ambiti ove – singolarmente considerati – i singoli aggregati non potrebbero competere. Questa nuova forma di aggregazione sta cambiando la stessa cultura imprenditoriale ed ha registrato una sempre maggior diffusione soprattutto nell’era post-pandemica, affermandosi come nuovo modello business strategico in molti settori per superare la crisi. Alla data del 31.12.2021, secondo il 3° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Reti d’Impresa del 20.01.2022, sono stati censiti 7.498 contratti di rete di cui 1120 con soggettività giuridica e la partecipazione di 42.036 imprese. Le imprese più coinvolte nei contratti di rete appartengono ad agroalimentare (22%), commercio (14%) e costruzioni (12%), con in testa il Lazio (24,3%) seguito da Lombardia (10,5%) e Veneto (7,8%), Campania (7,5%) e Toscana (7,1%). Nei servizi turistici operano 4000 imprese, pari al 10% del totale, mentre circa 5000 imprese, pari al 12% del totale, si suddividono equamente tra i settori dei servizi professionali (2.488) e della meccanica (2.467). Si tratta in prevalenza di reti verticali (39%), con obiettivi comuni come ad esempio il rafforzamento di potere contrattuale (35,7%), la riduzione dei costi di produzione (17%) e il raggiungimento di una maggiore efficienza. Si registra un forte aumento delle reti che partecipano a bandi e appalti e sviluppano progetti di formazione (23%). Il 21,2% delle reti nasce per attività di marketing congiunto e il 17,4% per creare un brand di rete, il 19,5% per condividere acquisti, il 19,1% per sviluppare nuovi prodotti e il 17,4% nuovi processi, e il 12, 4% per esigenze di formazione.
Feliciana Bitetto è avvocato