L’aborto come “banco di prova” per la Presidenza USA 2024

Volere o meno, le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti si giocheranno sul fronte dei diritti delle donne, investendo innanzitutto l’aborto.

A conferma di quanto enunciato si pone non solo il rilancio in Arizona di una legge anti-aborto del 1864, ma anche l’introduzione in Florida di uno dei divieti più rigidi (non oltre le sei settimane di gravidanza), che induce l’attuale Presidente Joe Biden a parlare di vero e proprio “incubo” innescato dal suo rivale elettorale e predecessore Donald Trump.

Come noto, le recenti decisioni della Supreme Court avallano la volontà di aderire ad una via “conservatrice” in tema di diritti e libertà civile; ciò è riconducibile alla nuova composizione della più alta corte della magistratura federale degli Stati Uniti d’America che, a seguito di talune nomine dibattute, presenta una maggioranza eccessivamente vicina all’area repubblicana. Essa, dunque, sembra aver rivelato la sua “apparente” neutralità politica; una feroce accusa è mossa dalla minoranza dissenziente (“La Corte cambia idea oggi per una e una sola ragione: perché la composizione della Corte è cambiata. […] Oggi è la predilezione degli individui che imparziale”).

La nomina di un giudice supremo rappresenta un momento cruciale della vita istituzionale statunitense, data la possibilità di modificare l’equilibrio interno della stessa Corte, con conseguenze rilevanti anche sul piano del riconoscimento giuridico di nuovi diritti. La scelta del sostituto di Antonin Scalia, deceduto improvvisamente nel febbraio 2016 a ridosso della scadenza del mandato di Barack Obama, risulta decisiva ai fini dello spostamento del peso della maggioranza su uno dei due schieramenti. A seguito della ferma opposizione del Senato, il Presidente Obama è costretto ad interrompere la procedura, dopo aver reso noto il proprio candidato (il Chief Justice della Corte d’Appello del Columbia District, Merrick Garland).

La nomina di Neil Gorsuch sotto la Presidenza Trump, per undici anni giudice presso la United States Court of Appeals for the Tenth Circuit, conferma la difficoltà di raccogliere l’eredità di uno dei più brillanti interpreti della teoria originalista e testualista della Costituzione, in grado di arricchire non solo le decisioni della stessa Corte, bensì l’intera cultura giuridica, americana e non. Con le successive sostituzioni di Anthony Kennedy e Ruth Bader Ginsburg, l’equilibrio della Supreme Court si sposta definitivamente dalla parte della cd. right-wing; le posizioni di Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett sono ritenute fortemente conservatrici.

Le nomine dei predetti giudici costituiscono uno dei principali lasciti – se non il maggiore – della discussa amministrazione Trump; ciò trova riscontro proprio nella sentenza Dobbs v. Jackson sulla quale è stato decisivo il voto dei tre nuovi giudici che, con il conservatore Clarence Thomas, hanno sottoscritto l’opinion of the Court del giudice italo-americano Samuel Alito.

Lo scenario delineato induce a prospettare un’inversione di rotta da parte dello stesso candidato conservatore; i primi segnali si colgono nella volontà di Trump di lasciare i singoli Stati liberi di decidere in materia, escludendo l’imposizione di un divieto federale che potrebbe pregiudicare la sua leadership alle elezioni autunnali (“saranno gli stati a decidere tramite referendum o leggi apposite”. Quel che conta è la volontà del popolo”).

Tuttavia, è arduo credere che gli elettori progressisti rinunceranno a votare in favore di Biden. Trump si è detto infatti “profondamente orgoglioso” di poter rivendicare il pregio del mutamento imposto dai giudici dell’Alta Corte, affermando che su talune questioni occorre seguire “il cuore, la fede o la religione”.

L’auspicio è che l’aborto da “inestimabile” diritto non diventi uno “specchietto per le allodole” nelle sempre più irruenti elezioni presidenziali.

Luana Leo è dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale nell’Università Lum “Giuseppe Degennaro”

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