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La valutazione del modello organizzativo adottato

La volontà del legislatore di creare, mediante l’ingresso della responsabilità amministrativa degli enti, un sistema virtuoso che incentivasse le imprese ad autoregolamentare la loro attività per scongiurare il rischio di commissione di condotte illecite – sia mediante la dotazione di un Modello di Organizzazione Gestione e Controllo sia mediante l’istituzione di un Organismo di Vigilanza…

La volontà del legislatore di creare, mediante l’ingresso della responsabilità amministrativa degli enti, un sistema virtuoso che incentivasse le imprese ad autoregolamentare la loro attività per scongiurare il rischio di commissione di condotte illecite – sia mediante la dotazione di un Modello di Organizzazione Gestione e Controllo sia mediante l’istituzione di un Organismo di Vigilanza – creava una giusta aspettativa all’imprenditore che aveva diligentemente seguito tali indicazioni mediante un (ulteriore) sforzo organizzativo ed economico. Le statistiche che si sono formate, anche in occasione del recente ventennale dall’introduzione della norma, mostrano come tali aspettative siano state deluse. Nei casi – non troppo numerosi – di contestazione all’ente ai sensi del d.lgs. 231/01 è stato il dibattimento il luogo in cui ci si è trovati a discutere dell’applicabilità o meno dell’esimente. Tale logica pare distorta perché, nella maggioranza dei casi, a seguito delle indagini il pm possiede gli strumenti per valutare la sussistenza o meno della colpa di organizzazione e procedere quindi all’archiviazione della posizione mediante decreto motivato ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. 231/01. È proprio in questa sede che, nel caso in commento, i pm milanesi hanno, tra le altre considerazioni (per il cui commento si rimanda agli altri contributi), effettuato alcune valutazioni in ordine al Modello organizzativo e alla sua attuazione da parte dell’ente. La società indagata ai sensi del d.lgs. 231/01 per la commissione del reato-presupposto di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000, destinataria dell’archiviazione, aveva implementato un sistema di organizzazione nel 2013 (aggiornato negli anni 2017 e 2019) e aveva istituito un Organismo di Vigilanza; il Modello prevedeva uno specifico protocollo relativo alla “Gestione dei rapporti con consulenti e fornitori di beni/servizi acquisti di consulenze – Acquisti di beni e servizi” prevedendo tra i rischi rilevanti individuati il “reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari”. Secondo i rappresentanti dell’accusa non è tuttavia sostenibile “l’idoneità delle cautele organizzative implementate dalla società con riferimento alla gestione di un rischio che non era neppure previsto nel Modello organizzativo”. Pur con i limiti derivanti dal commentare un provvedimento senza conoscere gli atti sottostanti, sul punto preme precisare che la complessità delle realtà aziendali (soprattutto di rilevanti dimensioni) impone una lettura unitaria delle procedure contenute nei Modelli che possono in alcuni casi sovrapporsi. Con riferimento ai reati tributari nella prassi si è assistito a un inserimento di regole cautelari ad hoc volte a dimostrare, anche graficamente, l’avvenuto aggiornamento del Modello alle novità legislative, ma molti Modelli organizzativi erano già perfettamente attrezzati alla prevenzione dei reati c.d. tributari, anche sulla base di quelle pronunce giurisprudenziali che facevano discendere una responsabilità dell’ente per il delitto di autoriciclaggio mediante il rimpiego delle somme acquisite a seguito della commissione di reati tributari.

In ogni caso, fermo restando l’auspicio che la valutazione del Modello avvenga nella sua interezza, questa e altre pronunce correttamente enfatizzano la bontà dell’azione di aggiornamento del Modello che, seguendo l’evoluzione delle norme e quella dell’ente, deve necessariamente atteggiarsi quale documento dinamico. Ben venga quindi che comportamenti di questo tipo – unitamente a una effettiva vigilanza sul Modello che deve estrinsecarsi anche mediante attività di verifica – siano correttamente e doverosamente valutati, anche nella “logica della rispondenza fiduciaria nel rapporto tra singole aziende e controllori giudiziari”.

Tale impostazione di rispondenza fiduciaria, per usare le parole degli autori del provvedimento, si rinviene anche in relazione ai comportamenti post factum tali da dimostrare l’effettiva organizzazione aziendale e l’attivazione per l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato in un’ottica che dovrebbe animare costantemente il dialogo tra le parti del processo penale, che, per quanto contrapposte, devono sempre cooperare per attuare, in condizioni di parità, il giusto processo.

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