Siamo sempre più vicini al punto di non ritorno: il passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici sarà un cambiamento tale da richiedere una rinegoziazione sia della produzione che della rete di approvvigionamento di combustibili e ricariche. Francesco Marino, rappresentante di terza generazione alla guida dell’omonimo gruppo di origine pugliese, si sofferma sulle contraddizioni e le opportunità di una mobilità sostenibile.
Francesco Marino, qual è il sentiment degli automobilisti rispetto a questo cambiamento?
«È tutto in divenire. Certo, la dinamica che ha determinato un simile cambio è molto strana. Normalmente è la domanda che genera l’offerta. In questo caso non ci sono stati prodotti che hanno generato bisogni nell’acquirente, ma i costruttori spingono la vendita dell’elettrico per essere compliant alle norme europee. L’obiettivo sarebbe abbassare la media in termini di immissioni di coefficienti di inquinamento immatricolando vetture elettriche».
È quindi un processo sovversivo.
«Certamente, proprio perché non è il cliente che chiede».
Verso quale scenario ci stiamo muovendo?
«Al momento è previsto entro il 2035 lo stop della produzione dei motori a combustione. È una scadenza che sembra distante ma in realtà è domani. Basti considerare che, per validare un prototipo di una macchina su carta, ci vogliono circa 4 anni. Nel frattempo la normativa europea ha previsto che i costruttori possano continuare con la produzione di motori endotermici purché siano euro7. Un vero spreco in termini di tempo e denaro, perché gli standard euro7 prevedono investimenti in termini di ricerca, di produzione di marmitte catalitiche, filtri anti-particolato e sistemi di gestione elettrici molto alti. Tutta tecnologia che dal 2035 non si potrà più utilizzare. Praticamente sarebbero investimenti antieconomici».
Quindi come se ne esce?
«Al momento a livello europeo sono partiti due tavoli di discussione: il primo per alleggerire gli standard stringenti di produzione dell’euro7 e l’altro per cercare di procrastinare la data del 2035».
Siamo pronti per questo switch?
«L’Italia nello specifico e in generale l’Europa sono in ritardo sulla tabella di marcia. Mancano prima di tutto le infrastrutture, cioè le condizioni per rendere la vettura elettrica fruibile nella quotidianità. Oggi le macchine full electric sono appannaggio di chi può pianificare i propri spostamenti, percorre un perimetro urbano o al massimo extraurbano e può accedere con facilità a dei punti di ricarica durante la giornata. Il segmento di clientela è davvero ristretto».
Quali sono i feedback ricevuti dal mercato?
«Economicamente sappiamo che la macchina elettrica costa circa il 30% in più. Altro elemento interessante è quello dei contributi governativi per la rottamazione: i fondi per le vetture termiche e ibride sono terminati a febbraio dopo soli 40 giorni. Per le elettriche e le plug-in sono ancora disponibili nella misura di 169mln, il 90% di quando disposto».
I numeri non sono incoraggianti.
«Non finisce qui. Nel 2022 i full electric non arrivano al 4% del mercato, dato in leggero calo nei primi 3 mesi di quest’anno. In questa percentuale bisogna anche valutare che sono incluse le auto che le concessionarie devono immatricolare per rispettare gli standard dei costruttori. Ragionando in termini di ibrido vero, quindi full hybrid o plug-in, sono nel 2022 il 14,2% e nel 2023 15,3%. Numeri ancora estremamente bassi».
Dobbiamo temere la tecnologia asiatica?
«L’Europa purtroppo non è indipendente su diversi fronti. La recente crisi energetica ne è stata la prova. Il mercato automotive non fa eccezioni. L’Asia, ad esempio, ha un’egemonia assoluta sulle materie prime che riguardano la produzione di batterie per vetture. A questo si aggiungono i minori costi di produzione, per la maggiore disponibilità di mano d’opera a basso costo, e il know how di cui già dispongono da tempo. Grazie a tutti questi fattori nazioni come la Cina dispongono di una quantità importante di auto elettriche a prezzi concorrenziali pronte ad invadere il mercato. Stiamo consegnando il settore all’Asia, vanno varate delle politiche a tutela dell’economia europea».