La prevenzione dei reati tributari nei processi aziendali: il sistema delle sanzioni

Con il decreto 124 del 2019 l’elenco dei reati presupposto per la responsabilità amministrativa delle società, commessi dalle persone fisiche dipendenti, si è ampliato ricomprendendo anche i reati penali tributari previsti dal decreto 74/2000. Tale aggiunta era già stata auspicata dalla Corte di Cassazione nella sentenza 10561/2014, la quale suggeriva “un intervento del legislatore volto ad inserire i reati tributari fra quelli per i quali è configurabile una responsabilità amministrativa dell’ente” ai sensi del decreto 231 del 2001.

I reati tributari richiamati da tale decreto sono quelli di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di occultamento o distruzione di documenti contabili, nonché di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Con il decreto 75 del 2020, di attuazione della Direttiva PIF, è stato ulteriormente esteso il catalogo dei reati tributari presupposto del decreto 231, includendovi i reati commessi al fine di evadere l’IVA, che presentino elementi di transnazionalità (connessi al territorio di almeno un altro Stato UE) e da cui consegua o possa conseguire un danno complessivo pari o superiore a 10 milioni di euro (le c.d. maxi frodi IVA). Dal 2020 sono quindi causa della responsabilità amministrativa dell’ente, a meno della predisposizione di un efficace sistema MOG, anche i reati fiscali di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione nonché indebita compensazione, contestabili in caso di gravi frodi IVA transfrontaliere.

Alla commissione dei reati previsti dal decreto 231, commessi da persone fisiche facenti parte della realtà aziendale, segue la contestazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive, oltre alla confisca (diretta o per equivalente, sempre prevista con la sentenza di condanna) ed alla eventuale pubblicazione della sentenza. Le sanzioni pecuniarie sono irrogate per quote, in base alla gravità dell’atto, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille, e l’importo di una singola quota va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1.549. Il giudice determina il numero di quote sulla base della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’ente, dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti e l’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.

Per l’irrogazione delle sanzioni interdittive, quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, nonché il divieto di pubblicizzare beni o servizi, è richiesto o che l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione e la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative, oppure in caso di reiterazione degli illeciti.

Ferma l’irrogazione della sanzioni pecuniarie, è esclusa l’irrogazione di quelle interdittive qualora l’ente, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato o si è comunque efficacemente adoperato in tal senso, abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione ed attuazione di MOG idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi ed abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

Fabio Ciani è avvocato tributarista

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