Per raggiungere gli obiettivi di semplificazione, velocità e razionalizzazione la riforma Cartabia ha toccato poco – e male – il rito afferente le controversie di lavoro. La tanto decantata “negoziazione assistita” nelle controversie di lavoro è la novità più rilevante, laddove si tratta del via libera all’utilizzo dello strumento di risoluzione alternativa delle controversie, nel perseguire l’obiettivo della rideterminazione del rapporto tra giurisdizione ordinaria e giustizia alternativa, e nella (vana) speranza di diminuire il carico dei ruoli ed i tempi processuali.
Togliendo al lavoratore la possibilità di transigere la controversia al di fuori delle sedi c.d. protette, si indebolisce la genuinità e spontaneità del consenso a disporre dei propri sacrosanti diritti, con buona pace dell’avvocato figura necessaria e indispensabile alla negoziazione (come sì, è giusto che sia!) ma che – nonostante l’apporto altamente professionale che potrà dare – un domani potrà trovarsi ad essere l’unico “responsabile” della scelta del lavoratore di “disporre dei propri diritti”, e con un accordo poi non impugnabile. Occorre però prendere atto del superamento delle resistenze – nella materia del lavoro – sulla applicabilità di questo particolare strumento di Adr, resistenze che, in modo errato – a parere di chi scrive – erano giustificate dalla “sfiducia” nella mera assistenza degli avvocati a riequilibrare le forze e i diritti in campo. Così certamente non è, anzi: v’è da prendere atto che, anche nelle sedi c.d. protette, gli avvocati giuslvoristi sono i veri e fondamentali fautori degli accordi. E dunque, nonostante in un articolo avveniristico di qualche anno fa mi ritenessi contraria alla negoziazione in materia di lavoro per diversi e svariati motivi, oggi il legislatore ha reso merito alla battaglia condotta da gran parte delle associazioni nazionali di giuslavoristi, e forse conviene ripensarci.
L’altra novità di rilievo è il tanto decantato superamento del rito Fornero sui licenziamenti. Per fare ciò, il rito sui licenziamenti entra prepotentemente nel codice di rito con l’art.441 bis, con trattazione prioritaria delle cause aventi ad oggetto l’impugnazione con domanda di reintegra nel posto di lavoro. Si ritorna quindi al rito ordinario del lavoro anche per i licenziamenti, fatta salva la “nuova” corsia prioritaria che dovrà attagliarsi all’organizzazione delle Sezioni Lavoro dei Tribunali, con misure organizzative che si spera possano essere uniformi per tutti gli uffici: in sintesi, la riduzione dei tempi della giustizia è affidata alla misura organizzativa e non più alla specialità del rito, con qualche legittimo dubbio sulla riuscita dell’obiettivo iniziale.
Attenzione del legislatore viene giustamente posta sul licenziamento discriminatorio, sempre più frequente come casistica dei nostri giorni. Anche questa figura particolare di recesso unilaterale con specifiche motivazioni entra esplicitamente nel codice di rito (art.441 quarter c.p.c.) lasciando al lavoratore e all’abile difensore la scelta – simile a quanto fatto con processo civile – di intraprendere la strada dei riti speciali (art.38 D.Lgs.198/2006 e art.28 D.Lgs.150/2011) o invece di preferire le “garanzie” del giudizio a cognizione piena (rito ordinario di lavoro). La disciplina processuale di appello prevede qualche disposizione ad hoc, sempre improntata a celerità e concentrazione nell’ottica del legislatore: ma direi anche a sanzionare inopinatamente l’attività dell’avvocato, riconoscendo nell’inammissibilità la scure che grava su ogni atto introduttivo.
Viene altresì richiesto al malcapitato difensore il “dono” della chiarezza e sinteticità nello scrivere, che diventa una regola codificata e un “obbligo” anche per chi non dovesse possederle queste capacità! Infine, ma non meno importanti per gli avvocati giuslavoristi, le previsioni che rendono strutturali le scelte organizzative sulle modalità di espletamento delle udienze previste dal legislatore dell’emergenza pandemica: entrano nel codice di rito le disposizioni espresse sull’audienza tramite collegamenti audiovisivi ed il deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza, che tanto snaturano l’oralità e l’immediatezza del rito lavoristico originario, con la presenza necessaria delle parti in udienza, cuore del processo del lavoro e prodromica ad altre attività significative, quali l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione fatto con la presenza viva delle parti.
Ci si rimetterà indubbiamente alla discrezionalità del giudice sulle modalità di svolgimento delle udienze, non dimenticando che il processo del lavoro è uno dei pochi riti resistente al tempo e – nonostante tutto – alla foga smantellatrice dei legislatori.