Con la sentenza n. 115 del 2025 la Corte Costituzionale è intervenuta sul tema dell’accessibilità ai congedi in favore dei genitori lavoratori, dichiarando l’illegittimità dell’art. 27-bis del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, come introdotto dal D.lgs. n. 105/2022, nella parte in cui non riconosce il congedo obbligatorio di paternità anche alla lavoratrice madre intenzionale all’interno di una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.
Il cambiamento
La novella operata dal decreto, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1158, aveva introdotto, tra le altre misure di conciliazione vita-lavoro il congedo obbligatorio di paternità nei confronti del lavoratore per la durata di dieci giorni lavorativi retribuiti al 100% e fruibili nei due mesi antecedenti e nei cinque successivi alla nascita. La norma, tuttavia, ometteva di disciplinare l’ipotesi in cui a richiedere la fruizione del congedo, all’interno di una coppia, fosse la madre intenzionale e non quella biologica. Di qui, la questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, nell’ambito di un ricorso volto a contrastare la discriminazione di genere. Il giudice rimettente ha ravvisato una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE e all’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, laddove la normativa esclude irragionevolmente dal congedo la madre intenzionale, pur in presenza di piena assunzione di responsabilità genitoriale e di trascrizione nei registri dello stato civile. La Consulta ha accolto la questione e ha ritenuto l’attuale formulazione dell’art. 27-bis in contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), per aver operato una discriminazione tra figure genitoriali identiche sul piano funzionale e differenti solo per quanto concerne il genere ovvero l’orientamento sessuale.
Le motivazioni
Nel motivare la propria decisione la Corte ha richiamato l’orientamento consolidato in materia di omogenitorialità, sottolineando come lo status di genitore, per la madre intenzionale, possa derivare dalla trascrizione di atti di nascita o provvedimenti stranieri validamente formati, purché non contrari all’ordine pubblico. La sentenza in oggetto contribuisce al processo di valorizzazione del contenuto relazionale e funzionale della genitorialità, piuttosto che alla sua matrice biologica, tenuto conto che già in passato la Corte aveva chiarito che il trattamento di maternità e paternità si fonda sulla protezione del minore, non sul genere del genitore (Corte cost. n. 285/2010; n. 104/2003). Da qui la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis, nella parte in cui esclude la madre intenzionale (registrata come genitore) dal diritto al congedo obbligatorio, identificando nelle coppie omogenitoriali femminili una figura equiparabile a quella paterna all’interno delle coppie eterosessuali, distinguendo tra la madre biologica (colei che ha partorito) e la madre intenzionale, la quale ha condiviso l’impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato, e vi partecipa attivamente. Questa sentenza ha una portata pratica immediata e rilevante nel diritto del lavoro: le lavoratrici madri intenzionali avranno diritto a richiedere il congedo obbligatorio previsto dall’art. 27-bis d.lgs. 151/2001. La pronuncia vincola tanto l’INPS, quanto i datori di lavoro pubblici e privati, in sede di gestione delle domande di congedo. Ma più in generale, la sentenza n. 115/2025 rappresenta un importante passo in avanti verso un modello inclusivo di tutela della genitorialità, fondato sull’effettiva condivisione di responsabilità e non su schemi etero normativi. Un principio, questo, destinato a incidere anche su ulteriori ambiti del diritto del lavoro, tra cui permessi, tutele anti-discriminatorie e politiche di conciliazione.