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Intercettazioni e Ddl Nordio, Frisetti: «Non viene limitatala libertà delle toghe»

«Non vedo pericoli sulla libertà di iniziativa dei magistrati inquirenti. Il rischio che si corre è che, omettendo i dati personali e vietando la pubblicazione di intercettazioni ritenute “non rilevanti”, si addivenga alla paradossale conseguenza che il soggetto indagato non sia mai posto a conoscenza di interlocuzioni a lui favorevoli». Ad affermarlo è l’avvocato Massimo…

«Non vedo pericoli sulla libertà di iniziativa dei magistrati inquirenti. Il rischio che si corre è che, omettendo i dati personali e vietando la pubblicazione di intercettazioni ritenute “non rilevanti”, si addivenga alla paradossale conseguenza che il soggetto indagato non sia mai posto a conoscenza di interlocuzioni a lui favorevoli». Ad affermarlo è l’avvocato Massimo Frisetti entrando nel merito delle novità introdotte dal ddl Nordio.

Avvocato, quali sono le principali disposizioni del ddl Nordio riguardanti le intercettazioni telefoniche da parte dei magistrati?

«Volgono fortemente lo sguardo verso la tutela dell’identità delle persone estranee all’indagine le quali, sinora, non hanno trovato alcun baluardo difensivo rispetto alla diffusione scellerata di aspetti della vita privata privi di interesse investigativo. Nel dettaglio, viene introdotto il divieto di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle conversazioni in tutti i casi in cui non possa essere utilizzato dal giudice per motivare un provvedimento incidente sulla libertà personale, nonché di produzione nel corso dell’istruttoria dibattimentale (art. 114, comma 2 bis c.p.p.). È escluso il rilascio di copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione quando la richiesta è presentata da un soggetto estraneo alle parti coinvolte nel procedimento ovvero dai loro difensori (art. 116, comma 1 c.p.p.). Infine, ed è probabilmente la modifica di maggior rilievo mediatico, si vieta la trascrizione delle espressioni che consentano di identificare soggetti diversi dagli indagati (art. 268, comma 2 bis c.p.p.). Da ultimo, viene introdotto l’obbligo per il Pubblico Ministero di stralciare dai cd. brogliacci (termine con il quale viene individuato il documento redatto dalla Polizia Giudiziaria in cui si riportano i dialoghi verbali oggetto di ascolto) le espressioni lesive della reputazione o riguardanti dati sensibili di soggetti diversi dalle persone coinvolte nell’indagine (art. 268, comma 6 ccd)».

In che modo il decreto legislativo ha modificato le normative esistenti sulle intercettazioni telefoniche in ambito giudiziario?

«Con la modifica dell’articolo 103 del codice di procedura penale. Vengono introdotti due nuovi commi, 6 bis e 6 ter, il primo dei quali estende il divieto di acquisizione da parte dell’Autorità Giudiziaria ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato ed il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Il comma 6 ter introduce l’obbligo per il giudicante e per gli organi ausiliari delegati, di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione, quando risulti che la conversazione o la comunicazione rientrino tra quelle vietate. Viene altresì modificato l’art. 291, comma 1 ter del codice, al fine di tutelare ulteriormente la privacy degli indagati, introducendo il divieto per il Pubblico Ministero di indicare nella richiesta di misura cautelare, riguardo alle comunicazioni captate, i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione. In egual modo, viene impedito al Giudice per le Indagini Preliminari di includere i tali dati all’interno del provvedimento coercitivo».

Quali sono le principali criticità o controversie emerse?

«Il bilanciamento tra il diritto all’informazione e la tutela della onorabilità e della riservatezza dei soggetti a vario titolo coinvolti in un procedimento penale è sempre un argomento di forte scontro tra rilevanti, e sempre contrapposti, interessi. Il rischio che si corre è che, omettendo i dati personali e vietando la pubblicazione di intercettazioni ritenute “non rilevanti”, si addivenga alla paradossale conseguenza che il soggetto indagato non sia mai posto a conoscenza di interlocuzioni a lui favorevoli, soprattutto negli incidenti cautelari che sono caratterizzati dalla compressione dell’intervallo temporale tra l’adozione della misura ed il successivo vaglio da parte del Tribunale del Riesame».

I timori per una eccessiva limitazione della libertà dei magistrati sono infondati?

«Non vedo pericoli sulla libertà di iniziativa dei magistrati inquirenti. L’espunzione dei dati personali dai c.d. brogliacci non incide minimamente sul corso delle indagini e sull’evoluzione delle stesse. Qualora emergessero indizi di reità a carico di un soggetto, a seguito della iscrizione nel registro degli indagati l’ostensione del nome non sarebbe più vietata. E penso che sia doveroso intercettare solamente “bersagli” che abbiano comportamenti altamente indizianti, non un mero interlocutore criptico…. La “pesca a strascico” a cui siamo abituati è francamente inaccettabile e la sentenza della Consulta (n. 170/23) in occasione della questione inerente al conflitto di attribuzioni, sollevata dal senatore Renzi, dimostra pienamente come sia arrivato il momento di arginare pulsioni animate da un morboso iper-controllo. Anche la limitazione dell’utilizzo del captatore informatico (c.d. Trojan) muove da tali esigenze, e ciò dimostra come la salvaguardia della corrispondenza digitale sarà un argomento centrale nel dibattito politico del prossimo futuro».

Un tema che sta facendo molto discutere, sempre relativo al Ddl Nordio, è l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Per il Csm una mossa in questa direzione favorirebbe la corruzione. È d’accordo?

«Comprendo le istanze avanzate dagli amministratori pubblici, ed in particolare dai sindaci delle comunità più minute. Il rischio di una “medicina difensiva” anche per le scelte più banali è molto ricorrente. Nessuno agisce a cuor leggero e la possibilità di essere coinvolti in un procedimento penale, con le inevitabili ripercussioni familiari e professionali, vincola il soggetto che abbia un qualsivoglia potere decisionale».

L’abrogazione però non la convince…

«Non credo che l’abrogazione tout court dell’art. 323 del Codice penale sia la risposta. L’abuso depenalizzato, così direttamente inteso, sottintende un generale condono per una decisione amministrativa arbitraria, irrazionale, priva di motivazione e, a questo punto, di conseguenze. Tale scelta legislativa potrebbe non essere comprensibile per il privato cittadino che guarda con lealtà alla gestione del pubblico servizio. Più che favorire la corruzione, come viene neanche troppo velatamente sostenuto da diversi ed autorevoli protagonisti del dibattito giuridico, l’eliminazione di questa fattispecie di reato comporterà un allargamento delle contestazioni che sanzionano la corruttela. La modifica del delitto di traffico di influenze illecite, infatti, difficilmente colmerà il vuoto lasciato dall’abuso d’ufficio. Inoltre, non credo che questa probabile lacuna dell’ordinamento si protrarrà per parecchio tempo nel nostro sistema giudiziario penale».

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