«Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza apre nuovi spazi di azione sindacale a “monte” della crisi, stimolando e favorendo il ruolo di un sindacato interlocutore per la migliore gestione della crisi». Ad affermarlo è la prof. Iolanda Piccinini, ordinario di Diritto del Lavoro alll’Università Lumsa di Roma.
Professoressa, il 15 luglio scorso è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il cui fulcro è scommettere sull’emersione anticipata della crisi per favorire la continuità aziendale e rendere del tutto residuale il ricorso alla procedura di liquidazione giudiziale. Quale portata ha questo principio rispetto alle tematiche giuslavoristiche tipiche di una situazione di crisi?
«Il tema della prevenzione di una situazione di rischio non è certo un tema estraneo al Diritto del lavoro che, da sempre, ha sviluppato istituti e strumenti finalizzati a prevenire i rischi al fine di garantire la tutela del lavoratore, sia per quel che concerne la sua persona sia per quel che riguarda il mantenimento del posto di lavoro e quindi in primis della retribuzione. Le riforme degli ultimi anni – preso atto che, accanto alla tradizionale debolezza del lavoratore, si è aggiunta la debolezza del datore di lavoro a rischio di crisi e di espulsione dal mercato – sono intervenute su importanti istituti del diritto del lavoro, rimarcando la parola d’ordine “conservazione” (dell’impresa, degli assetti produttivi, dei posti di lavoro). Il mio maestro Matteo Dell’Olio in uno scritto “profetico”, pubblicato nel 1983 ma attualissimo oggi, aveva auspicato che le crisi d’impresa “tradizionalmente subite come crisi di solvibilità” potessero “essere vissute, e in modo sempre più totale ed assorbente, come crisi di occupazione”».
Quali alert devono essere tenuti sotto osservazione per intercettare la crisi?
«La crisi d’impresa non può essere “vissuta” in termini statici e passivi come evento che si manifesti improvvisamente e inaspettatamente e dinanzi al quale occorra tentare di conservare solo le garanzie patrimoniali dei creditori, ma va dinamicamente gestita con la finalità, innanzitutto, di conservare l’impresa. E «il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa» ex art. 2555 c.c. comprende inevitabilmente anche la forza lavoro impiegata. Del resto, rispetto alla tradizionale visione che si limitava a considerare solo l’interesse creditorio del lavoratore (si pensi alla garanzia del privilegio e della prededucibilità, oppure a quella offerta dal Fondo di Garanzia per il Tfr), negli ultimi anni è diventato prevalente l’interesse al mantenimento del posto di lavoro. Se la crisi è definibile come l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi, non può non considerarsi quale primo e significativo alert di una situazione di difficoltà il reiterato mancato pagamento di retribuzioni nei confronti dei dipendenti, proprio in ragione della natura del credito, così come il mancato pagamento del trattamento di fine rapporto o dei contributi previdenziali. Questi eventi presentano una rilevante valenza indiziaria circa lo stato di “salute” dell’impresa».
Fino ad oggi il ruolo dei sindacati sembrava essere relegato ad un intervento successivo quando la crisi si sia ormai manifestamente acclarata. È possibile, invece, immaginare un loro più utile contributo nella fase preventiva della crisi?
«A mio avviso il nuovo Ccii apre nuovi spazi di azione sindacale a “monte” della crisi, stimolando e favorendo il ruolo di un sindacato interlocutore per la migliore gestione della crisi, che non si limiti a intervenire “a valle”, nelle battute finali della crisi quando è ormai inevitabile la riduzione del personale od occorre trattare il quantum di incentivi all’esodo da corrispondere. Mi sembra che il Legislatore italiano, sulla spinta della Direttiva comunitaria, voglia di fatto valorizzare tutte le sedi di intervento “a monte” delle associazioni di rappresentanza dei lavoratori (anche a livello aziendale) nella migliore prospettiva di conservazione dell’impresa e dei posti di lavoro».
Cosa manca affinché accada?
«Che l’imprenditore metta a disposizione dei sindacati informazioni e dati utili per un reale contributo nel valutare il tipo di crisi e proporre tutte le soluzioni per garantire la continuità occupazionale».