Il 31 dicembre prossimo scade Quota 102, per cui salvo improbabili colpi di scena dal primo gennaio 2023 la “Legge Fornero” ritornerà in auge. Una possibile soluzione potrebbe essere la proroga di Quota 102 considerando che nessun governo che uscirà dalle elezioni del 25 settembre potrà smontare in poco più di tre mesi il sistema pensionistico.
Vero è che le deroghe apportate alla “Legge Fornero” con la previsione di Quota 100 e Quota 102 hanno determinato un ampliamento della spesa pubblica e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento, sviluppando nel periodo 2019-2034 maggiori oneri pari allo 0,23 punti di Pil all’anno. Volendo indicare qualche dato numerico: nel 2021 l’Inps ha erogato 312 miliardi di euro per le pensioni. Il 92% è stato destinato ai trattamenti pensionistici; l’8% alle prestazioni assistenziali, per le pensioni sociali e per gli assegni sociali. Alla fine del 2021 i pensionati in Italia erano 16 milioni (+1,55% rispetto al 2020).
Non c’è dubbio che l’attuale sistema previdenziale è al collasso e non certo sostenibile nel lungo periodo a causa dell’aumento del precariato nonché della diminuzione progressiva del tasso di natalità che rendono imprescindibile una revisione del patto intergenerazionale. Nel suo ultimo rapporto sulla previdenza la ragioneria generale dello Stato ha precisato che gli interventi di riforma varati hanno generato una riduzione dell’incidenza sulla spesa pensionistica in rapporto al Pil pari a circa 60 punti percentuali cumulati al 2060. Di questi, circa un terzo è dovuto agli interventi apportati con la riforma del 2011. Pertanto, il ritorno alla “Legge Fornero” permetterebbe sicuramente un consistente risparmio in termini pensionistici (poco meno di 300 miliardi di euro). Tuttavia, tale prospettiva contrasta con l’intento di chi vuole assolutamente smontare la “Legge Fornero” evitando così un ritorno al passato.
Ma, assicurare misure che garantiscano una maggiore flessibilità (per esempio: quota 41 proposta dalla Lega con possibilità di accesso alla pensione alla maturazione di 41 anni di versamenti prescindendo dall’età anagrafica; Quota 104 proposta da Forza Italia) metterebbero a rischio gran parte della riduzione delle uscite pensionistiche sul Pil stimata in almeno 20 punti percentuali cumulati nell’arco di tempo di quasi mezzo secolo. Quota 41 per esempio, costerebbe 4 miliardi di euro richiedendo uno sforzo notevole in un contesto economico-sociale già molto difficile. Ritengo, pertanto, che nonostante il malcontento di molti, il ritono alla “Legge Fornero” sia per il momento inevitabile. Tre mesi non permetteranno certo al nuovo Esecutivo una maxi riforma del sistema previdenziale.
L’avvocato Giuseppe Durante è docente a contratto in Diritto tributario all’Università Lum