Green economy, parla Stefano Petrillo (Enjoyricondizionati): «Nel riutilizzo la chiave della sostenibilità»

La Green economy rappresenta il nuovo valore del markentig. Produrre con occhio attento agli sprechi e all’ambiente è la nuova frontiera per moltissimi brand, soprattutto nel settore della tecnologia. Stefano Petrillo, Founder e Ceo di Enjoyricondizionati, azienda che si occupa di ricondizionare device, spiega perché oggi è importante avviare processi di riutilizzo del materiale digitale piuttosto che produrlo.

Petrillo, come si ricondiziona un prodotto?

«È un’operazione di manutenzione, ordinaria o straordinaria, eseguita con l’obiettivo di portare un dispositivo al pieno delle sue funzionalità, attraverso circa 60 test di diagnosi e, se possibile, con un miglioramento del grado estetico. Tutte le verifiche e le ispezioni eseguite servono ovviamente a certificarne la perfetta funzionalità».

È un processo che riguarda la sostenibilità dell’ambiente?

«Prolungando la vita di moltissimi device quali smartphone, computer, tablet, la direzione è quella potenziare i meccanismi dell’economia circolare. Bisogna considerare che l’impatto ambientale di uno smartphone nuovo è di 17,2 kg di Co2 l’anno, nel dispositivo rigenerato i valori diminuiscono di oltre il 50%, fino ad arrivare ad 8,2».

Quali sono le difficoltà del settore?

«Operando nei principi del riciclo il nostro compito è molto più difficile rispetto alla produzione del nuovo, perché dobbiamo, da un lato, cercare di reperire il prodotto che ha già avuto una seconda vita, accedendo ai meccanismi di raccolta dell’usato, dall’altro, contenere i costi di produzione, per attenerci ai principi di sostenibilità ed essere competitivi sul mercato. Tutto si inserisce in un contesto economico di diretta concorrenza con aree europee e extra europee dove i tariffari delle ore di lavoro sono differenti».

Come è cambiato l’utente?

«C’è molta più consapevolezza sulla tipologia di prodotto. Inizialmente si compravano cellulari ricondizionati per risparmiare, oggi si è pronti per andare oltre le dinamiche di prezzo, lo si fa anche per diminuire gli sprechi, l’idea di capitalismo sostenibile è diventata trainante per gli stessi brand. Bisogna aggiungere che la tecnologia, in questo settore ha subito una battuta di arresto, non innova più in maniera determinante come accadeva anni fa».

I prodotti ricondizionati sono una buona occasione per aumentare il livello di digitalizzazione?

«Certamente. La questione della democrazia digitale è emersa in tutta la sua criticità durante la pandemia. L ’aumento spropositato dei prezzi di pc e tablet ha messo in seria difficoltà le famiglie, che, per consentire la dad, hanno dovuto rifornirsi in poco tempo di dispostivi elettronici adeguati. Proprio in questa occasione si è avuta una rivalutazione del “ricondizionato” che ha smesso di essere etichettato come “prodotto usato”».

Quali sono le fasce di età che si sono avvicinate prima ai questi prodotti?

«Gli adolescenti sono stati gli apripista. Per spirito di identificazione volevano uno specifico marchio di smartphone e in questo caso “il ricondizionato” dava la loro possibilità di averlo a meno prezzo. I secondi sono stati nonni, perché i nonni di questo millennio sono un po’ i saggi, che hanno riflettuto sull’utilizzo pratico del telefono e, spinti dalla coscienza sociale, si sono approcciati a questa categoria di dispositivi. Poi sono arrivati gli altri».

Grazie al riciclo dei questi materiale superiamo la carenza di materiale elettronico e chip di cui si è parlato molto in questo periodo?

«Il tema è soprattutto geopolitico. La recente crisi energetica ci ha insegnato che non possiamo affidare la nostra economia ad altre zone geografiche senza avere un piano B. Il processo di ricondizionamento è essenziale ci permette in parte di avere una serie di soluzioni che garantiscano la continuità tecnologica».

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