Giustizia, un equilibrio più volte cambiato dal legislatore. I paletti del “data retention”

Il tema del “data retention” è al centro dell’attenzione degli addetti ai lavori e non solo, al punto da orientare il legislatore a intervenire con una sequela ravvicinata di interventi normativi. L’oscillante punto di frizione tra istanze investigative e spinte protezionistiche della privacy ha risentito del clima d’emergenza che ha contrassegnato le attività del terrorismo interno e internazionale negli ultimi anni. Quanto all’autorità competente ad autorizzare l’accesso, l’asse di bilanciamento è stato spostato dal legislatore ora dall’autorità giudiziaria in genere (art. 3, comma 1 d.l. n. 354 del 2003), ora al giudice (l. di conversione n. 45 del 2004), ora al pm e al giudice a seconda della fascia di reati interessati (art. 6 d.l. n. 144 del 2005, conv., con modif., in l. n. 155 del 2005) , ora al pm in via esclusiva(art. 2. d.lgs n. 2019 del 2008) e da ultimo nuovamente al giudice in via esclusiva (art. 1 d.l n. 132 del 2021) – il potere di procedere all’acquisizione dei dati del traffico telefonico e telematico ai fini di indagini e di prova nel processo penale. A mettere i paletti sul “data retention” in continuità con i principi già affermati in passato ( Tele2 Sverige; sentenza Digital Rights dell’8 aprile 2014) in data 5 aprile 2022 è intervenuta, la grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa C-140/20 che ha avuto cura di (ri) precisare che il diritto dell’Unione impedisce misure legislative che prevedono, a titolo preventivo, anche per finalità di lotta a forme di criminalità grave e di prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati di comunicazione elettronica (tabulati telefonici in primo luogo) relativi al traffico e alla collocazione geografica.

In ragione dell’esigenza di rendere coerente le legislazioni penali con la pronuncia di legittimità comunitaria sono ammessi interventi normativi che, sempre per casi di estrema gravità, prevedano la conservazione “mirata” dei dati, delimitata sulla base di elementi oggettivi e non discriminatori, in funzione delle categorie di persone interessate o attraverso un criterio geografico, per un periodo temporalmente limitato allo stretto necessario ma rinnovabile. La Corte ha dato, inoltre, il via libera alla conservazione generalizzata degli indirizzi Ip. Dalla pronuncia risulta altresì giustificato il ricorso ad un’ingiunzione rivolta ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica attraverso una decisione dell’autorità competente soggetta a un controllo da parte della magistratura, di procedere, per un periodo determinato, alla conservazione rapida (cosiddetta quick freeze) dei dati di traffico di cui sono in possesso. Il minimo comune denominatore è che le persone interessate da tali misure dispongano di garanzie effettive contro il rischio di abusi. Alla stregua di tali argomentazioni, le autorità nazionali potranno adottare le misure di conservazione basate su un criterio geografico, come in particolare il tasso medio di criminalità in una data zona geografica, senza necessariamente disporre di indizi concreti. Il quadro così delineato permette di prevedere il tema della “data retention” sia destinato a ripercussioni dirompenti e significative tali da richiedere un adeguamento della disciplina nazionale ai principi emersi dalla giurisprudenza nazionale ed europea.

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