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Giustizia, Starace: «Custodia cautelare e processi soltanto se indispensabili»

Chi ha deciso di dedicare la sua vita all’impegno per l’affermazione della Giustizia parla di errori giudiziari sapendo di affrontare il tema del fallimento degli ideali perseguiti. Quando si fa riferimento agli errori giudiziari bisogna innanzitutto fare un distinzione tra l’errore giudiziario in senso stretto, rappresentato dall’ingiusta condanna definitiva seguita da un processo di revisione…

Chi ha deciso di dedicare la sua vita all’impegno per l’affermazione della Giustizia parla di errori giudiziari sapendo di affrontare il tema del fallimento degli ideali perseguiti.

Quando si fa riferimento agli errori giudiziari bisogna innanzitutto fare un distinzione tra l’errore giudiziario in senso stretto, rappresentato dall’ingiusta condanna definitiva seguita da un processo di revisione che termina – dopo anni di sofferenza – con l’assoluzione, e l’errore giudiziario in senso più ampio, che fa riferimento alle vittime di ingiuste misure cautelari seguite da sentenze di assoluzione. In ordine a quest’ultima categoria, va innanzitutto sgombrato il campo dall’automatismo che identifica l’errore nella sentenza assolutoria in quanto essa rappresenta una delle fisiologiche conclusioni del processo penale che può conseguire a chiarimenti o arricchimenti probatori, così come può essere frutto di prove sopravvenute che non erano conosciute e conoscibili nel momento dell’esercizio dell’azione penale ovvero al momento dell’applicazione delle misure cautelari.

Proprio la fase cautelare rappresenta il “problema dei problemi”, risolvibile, invero, con l’applicazione rigorosa delle norme già in vigore, le quali sono orientate verso l’adozione delle misure cautelari quale extrema ratio rispetto all’ordinario succedersi delle vicende procedimentali e processuali. Nella prassi ci si rende conto che molto spesso potrebbe farsi a meno della restrizione preventiva della libertà personale, nelle forme più varie e nei differenti livelli di afflittività. Parliamo di quella restrizione da cui derivano le peggiori e irrevocabili condanne mediatiche che segnano per sempre la reputazione dei presunti colpevoli. Se proprio dovessimo pensare a una riforma indispensabile per restituire la dignità ai presunti innocenti, dovremmo invitare il Parlamento a limitare con chiarezza e senza quelle oscure eccezioni che aprono le porte della fase cautelare per troppi indagati e che offrono illusorie certezze all’opinione pubblica.

Venendo agli errori giudiziari in senso stretto, se invece volessimo evitare i casi come quelli di Beniamino Zuncheddu (33 anni in carcere), Giuseppe Gulotta (22 anni dietro le sbarre) o Angelo Massaro (21 anni in cella), dovremmo pensare a un processo realmente accusatorio con una difesa così ben attrezzata da fare fronte alla potenza dei mezzi della pubblica accusa. Per questo basterebbe rendere meno timida la disciplina del processo accusatorio, non ancora pienamente metabolizzato dai protagonisti della giurisdizione e per nulla entrato nella “pancia” dell’opinione pubblica, bombardata dalla suadente narrazione dell’organo inquisitorio.

I numeri affascinano e condizionano, però non bisogna farsi influenzare dalle somme erogate dallo Stato a titolo di risarcimento dei danni per l’ingiusta detenzione sofferta dagli innocenti, sia perché non esisterebbe somma di danaro in grado di restituire alla persona un parte di vita strappata, sia perché tante persone ingiustamente detenute non hanno ricevuto un risarcimento del danno perché non lo hanno chiesto oppure perché non l’hanno ottenuto in quanto chi decide sulla richiesta di risarcimento dei danni si deve porre al momento dell’applicazione della misura cautelare, ragione per la quale si restringe enormemente il campo di osservazione. Sembra chiaro che valutare l’operato dell’Autorità giudiziaria con gli elementi a sua disposizione in quel momento lascia spazio ai risarcimenti soltanto nel caso di un evidente errore di valutazione.

Avendo reso così semplice l’applicazione delle misure cautelari, lo Stato dovrebbe assumersi la responsabilità di risarcire ogni persona privata della libertà personale senza la postuma giustificazione della sentenza di condanna, a prescindere da ogni valutazione e da ogni onere di richiesta, addirittura entro il termine breve di due anni dal momento dell’irrevocabilità della sentenza di assoluzione. Sembra paradossale pensare che un sistema che tollera processi di durata indeterminata imponga al cittadino di richiedere il doveroso risarcimento, onerandolo anche di dotarsi di un grande numero di documenti, entro appena due anni dalla fine dell’incubo.

Gli unici numeri da esaminare sono quelli delle vittime delle ingiustizie, ossia quelle 974 persone all’anno che perdono ingiustamente la libertà personale, e sperare che entri nel metabolismo giudiziario il principio esaltato dalla riforma “Cartabia” per cui sarebbe proprio il caso di evitare processi senza una ragionevole possibilità di prevedere la condanna dell’imputato. Soltanto una rivoluzione culturale potrà consentire alle generazioni future di vedere ridurre al minimo quei numeri che provocano un sentimento di vergogna in chi ha fiducia nella Giurisdizione.

Guglielmo Starace è penalista, consigliere dell’Ordine degli avvocati di Bari

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