«Il vero problema è che i magistrati non pagano per gli errori commessi. Le pagelle potrebbero essere utili per correggere certe storture, ma a patto che venga valutato almeno l’80% dei provvedimenti firmati dalle singole toghe. I test psicoattitudinali ipotizzati dal governo Meloni? Inutili per come sono stati concepiti». La pensano così i giornalisti Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, fondatori dell’associazione errorigiudiziari.com.
Il numero degli innocenti in cella cala, ma resta pur sempre alto. Come mai?
«C’è un “ordine di scuderia” che impone alle Corti d’appello di respingere le istanze di riparazione per l’ingiusta detenzione perché non ci sono risorse sufficienti a indennizzare le vittime. Il risultato è che, in media, il 50% delle istanze viene respinto».
Vuol dire che le vittime della malagiustizia sono molte di più?
«Certo. Si tratta di quelli che noi chiamiamo “innocenti invisibili”. Sono i cosiddetti “dissanguati dalla giustizia”, cioè coloro che, dopo aver speso cifre blu per difendersi nel corso dell’inchiesta e del processo, non hanno più soldi per attivare l’iter della riparazione. Ma anche i “disgustati dalla giustizia” che, dopo essere stati arrestati e successivamente scagionati, non vogliono più sapere di giudici e tribunali. E poi, ovviamente, ci sono quelli che si vedono respinta la domanda di indennizzo: in passato anche il fatto di avvalersi della facoltà di non rispondere era considerato motivo di rigetto della domanda di riparazione. Lo scenario è cambiato da oltre un paio d’anni, perché è in vigore una nuova normativa che ci ha imposto l’Europa proprio perché non rispettavamo in quel modo la presunzione di innocenza. Ma il numero delle istanze rigettate resta basso».
I magistrati pagano per questi errori?
«No. Il problema è proprio quello. I magistrati non pagano nemmeno a livello disciplinare: i casi di sospensione o radiazione sono più unici che rari, ma anche ammonimenti e censure si contano quasi sulle dita di una mano. Basta analizzare la valutazione di professionalità dei magistrati che è positiva in più del 99% dei casi. Però, nel frattempo, gli errori giudiziari continuano a verificare. Evidentemente i conti non tornano».
Le cosiddette “pagelle” dei magistrati sono la soluzione?
«Il fascicolo del magistrato può essere utile, a patto che non si valutino provvedimenti a campione ma almeno l’80% degli atti prodotti dal singolo giudice o pm. Al momento manca un dossier in cui confluiscano gli esiti delle vicende giudiziarie istruite da ciascun magistrato. E invece servirebbe, non per mettere i voti ma per comprendere meglio certe dinamiche».
Il governo Meloni pensa all’introduzione di test psicoattitudinali per i magistrati, ipotesi che ovviamente è osteggiata dall’Anm: possono aiutare a ridurre il numero di innocenti in cella?
«Quei test sono inutili. Sono semplici prove finalizzate ad analizzare l’equilibrio psicologico iniziale del magistrato. I problemi, però, possono presentarsi dopo cinque, dieci o vent’anni di carriera. Ragion per cui i test possono essere utili, a patto che siano ripetuti ogni tot anni. Altrimenti si tratta delle solite chiacchiere».
La svolta potrebbe arrivare con la separazione delle carriere tra giudici e pm, sostenuta dall’Ucpi?
«Non sarebbe la panacea, ma comunque un ottimo primo passo per eliminare certe storture nei rapporti tra giudici e pm. Resta da vedere, tuttavia, se e quando si farà. Il ministro Carlo Nordio disse che si sarebbe dimesso se le carriere di giudici e pm non fossero state separate. Per il momento non se ne parla, anche perché certe riforme richiedono un consenso politico particolarmente ampio. Intanto Nordio resta al suo posto».