La decisione della Consulta di dichiarare legittimo il payback sui dispositivi medicali, respingendo le ipotesi di incostituzionalità sollevate dal Tar del Lazio, ha messo in allarme le imprese del settore. Secondo gli addetti ai lavori, infatti, l’obbligo a loro carico di risanare parte degli eccessi della spesa regionale per i dispositivi medicali, potrebbe determinare una crisi del settore con conseguenti chiusure e tagli del personale, soprattutto nelle aziende medio-piccole.
L’origine del problema
Il sistema del payback si è affacciato in Italia per la prima volta nel 2011, quando fu sancito per legge che, in caso di sforamento da parte di una regione dei tetti di spesa per i dispositivi medici, la regione stessa ripianasse i debiti. Il payback vero e proprio, è stato introdotto nell’ordinamento solo nel 2015, ma è rimasto di fatto inattuato per sette anni, sino a quando, nel 2022, con una serie di provvedimenti sono stati, a posteriori, fissati i tetti di spesa per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, certificati gli sforamenti e infine richiesti, da parte delle singole Regioni, i pagamenti alle aziende che forniscono tali prodotti al servizio sanitario.
A seguito delle richieste di pagamento, sono stati promossi, davanti al Tar Lazio, circa 2mila ricorsi da parte delle aziende del settore e, all’esito di alcune udienza “pilota”, il Tar ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della disciplina sul payback. La Corte costituzionale si è infine espressa sulla legittimità della norma, con grande insoddisfazione delle aziende del settore, che temono per la loro sopravvivenza.