«Le sentenze della Corte gettano le aziende fornitrici di dispositivi medici in una situazione di grande incertezza economico-finanziaria». A lanciare l’allarme sul tema del payback dei dispositivi medici è Grazia Guida, presidente Aforp.
Quali sono le conseguenze del provvedimento sul settore?
«Dopo la sentenza della Corte costituzionale, che parla di “contributo di solidarietà” e di “legittimità”, siamo posti di fronte a una riflessione: se di solidarietà si tratta perché viene richiesta solo ad alcune aziende del settore sanitario? Il contributo di solidarietà in questa veste va ad impattare sul discorso economico-finanziario di ogni azienda, piccola o grande che sia. Non essendo questa una tassa caricata e riconosciuta come costo, le aziende che hanno pagato le tasse per gli anni considerati non avevano riconosciuto il costo e quindi riporteranno un danno aziendale. Molti chiuderanno, altri dovranno ricorrere a debiti finanziari, altri necessariamente rivedere il loro piano strategico, o gli investimenti in tema di innovazione o di assunzioni. Le aziende non possono essere chiamate a coprire da sole uno splafonamento che serve a coprire dei bisogni. Va anche notato che quelle regioni che hanno sforato la spesa, sono le regioni che hanno dato più sanità pubblica. Le regioni come la Lombardia che si appoggiano di più sulla sanità privata, non hanno questa quota da restituire, perché non risulta che abbiano sforato la spesa sanitaria. Mi pare che si tratti di una specie di federalismo camuffato di cui non avevamo contezza».
In Puglia di che numeri parliamo?
«Tra aziende fornitrici dirette e indotto parliamo quasi di 3mila realtà imprenditoriali. Noi abbiamo spedizionieri, vettori terzi verso l’estero e il resto d’Italia, agenti a cui si somma tutto l’indotto. Destabilizzando così i bilanci di queste imprese si va a depotenziare tutto il sistema. Se di contributo di solidarietà dobbiamo parlare, questo può essere mai pari al 48% di uno splafonamento? Un’azienda non può vivere in una condizione di incertezza economico-finanziaria del genere. Nel momento in cui le piccole aziende, che sono la spina dorsale del paese vengono meno, nemmeno i giovani saranno attratti a rimanere sul territorio. Il nostro è un settore altamente qualificato e specialistico, che si apre alle professioni delle bio-ingegnerie, a quelle infermieristiche. Tutto potenziale che andrebbe perso».
Quali sono le vostre richieste?
«Noi chiediamo innanzitutto al governo e al ministero delle Imprese che vi sia un tavolo di crisi nazionale che coinvolga tutti gli attori in campo e che ci venga riconosciuto di essere un asse strategico per il Paese. Bisogna scrivere una nuova pagina di storia».