La digitalizzazione dei sistemi e la tendenza ad essere iperconnessi ci portano a riflettere su temi sempre più legati alla riservatezza. Spesso ci si chiede quanto i nostri dati siano “davvero nostri” e come possiamo proteggerci da una eventuale sovraesposizione. Giuseppe Cannella, avvocato esperto in materia di privacy, spiega come muoversi in questo difficile ambito e chiarisce i principi che regolano riservatezza e tutela della vita privata.
Avvocato, quali sono le leggi di riferimento quando parliamo di tutela della privacy?
«Quello più importante è il Gdpr, regolamento per la privacy del 2016 entrato in vigore nel 2018. Poi c’è il Codice della privacy modificato sempre nel 2018 dal decreto legislativo 101 che applica norme più specifiche per alcuni ambiti a livello nazionale».
Durante la pandemia si è parlato spessissimo di possibili violazioni in riferimento alla vita private dei cittadini. Può spiegare cosa è successo?
«Rispetto a questo devo precisare che il Garante della privacy è sempre stato molto presente in Italia, intervenendo tutte le volte in cui il Legislatore ha emanato delle leggi che potenzialmente potevano limitare il diritto alla privacy. In pandemia, più volte, durante la fase di decisione delle norme anti-contagio, è stata denunciata la possibilità di violare la riservatezza dei cittadini. L’introduzione, ad esempio, delle piattaforme per il tracciamento dei positivi ha generato molte resistenze, tuttavia, grazie ad accorgimenti di tipo tecnico, e all’impiego dell’anonimizzazione, si è riusciti ad applicare in modo legittimo tutte le modalità di tracciamento».
L’introduzione dell’intelligenza artificiale ha messo a dura prova tutti i meccanismi di tutela citati precedentemente?
«Ci ha esposto sicuramente di più, consentono una veloce profilazione».
Come possiamo difenderci?
«Solo conoscendo i rischi e le regole. È importante sviluppare una vera e propria cultura della privacy. La consapevolezza è fondamentale».
Come si traduce tutto questo nella nostra vita quotidiana?
«Bisogna pensare che ormai ci siamo abituati ad assegnare a tutto quello che viene fatto un nome un cognome un indirizzo, in sintesi una identità. Questo processo non è sempre necessario. Nell’ipotesi in cui non vogliamo che la nostra vita privata sia disturbata dal fatto che altri abbiano informazioni su di noi dobbiamo attivarci utilizzando le regole esistenti. Uno dei principi fondamentali in questo senso è quello di proporzionalità e coerenza».
Cioè, cosa significa?
«Le aziende considerano il dato personale un patrimonio perché permette loro di organizzare le attività e capire in che direzione va il commercio, rispetto a questo cercano costantemente una infinità di dati sull’acquirente, dati anche non attinenti con l’attività della società. Per fortuna il regolamento europeo viene in nostro soccorso e ci tutela definendo anche la modalità della circolarità dei dati».