Con l’avvio della XIX Legislatura, accompagnato dalle ormai consuete polemiche circa la nomina dei Presidenti di Senato e Camera, l’approdo alla formazione del nuovo Esecutivo è sempre più vicino, oltre che in perfetta conformità ai passaggi essenziali previsti dalla Costituzione.
A parte lo spostamento dell’asse di potere, la vera novità meritevole di attenzione – a giudizio di chi scrive – consiste nella natura politica del Governo nascente, un Governo espressione della sovranità popolare. Negli ultimi dieci anni, segnati da profonde e inaspettate crisi, la decisione di affidare le sorti del Paese a personalità di rilievo è sembrata inevitabile. Giunti a tale punto, appare opportuno chiedersi se la Repubblica Italiana sia realmente pronta ad un ritorno del “politico”, senza trascurare il significativo impatto del “tecnico” sulla stessa. Sebbene l’espressione “Governo tecnico” sia stata ripresa nel dibattito politico-istituzionale italiano con l’ascesa di Mario Monti nel 2011, la prima esperienza risale alla Presidenza Dini: ottenuta la fiducia al Senato il 1° febbraio 1995 con 191 voti favorevoli, 17 contrari e 2 astenuti, essa si concluse dopo appena 487 giorni in carica e 359 giorni effettivi. Altri esempi di “Governi tecnici” sono quelli di Ciampi del 1993, primo Esecutivo della storia della Repubblica Italiana ad essere guidato da un non parlamentare, e quello più recente presieduto da Mario Draghi. Quest’ultimi, pur essendo stati identificati come “tecnico-politici”, non sembrano discostarsi dai Governi Dini e Monti. In tale senso, la dottrina maggioritaria riscontra tre tratti comuni: la durata circoscritta, lo slancio del Presidente della Repubblica, l’appoggio parlamentare. Nell’ottica di chi scrive, il Governo Draghi presenterebbe un elemento distintivo, assente nelle precedenti esperienze: il rilancio del ruolo internazionale dell’Italia, nonché il notevole apprezzamento manifestato dai principali leader mondiali nei confronti dello stesso Premier. In realtà, quello diretto da Mario Draghi è il meno “tecnico” dei Governi avutesi sinora in Italia, vista la presenza al suo interno di quasi tutti i partiti (c.d. Governo di unità o di salvezza nazionale). Al contempo, esso è il più vicino alla forma tecnocratica pura. È indiscutibile che tale opzione manifesti aspetti positivi: non solo previene il rischio di una paralisi istituzionale, ma consente anche di predisporre un programma orientato alla ripartenza di un Paese in piena crisi. Tuttavia, gli aspetti sopraindicati cedono rispetto al pericolo di annientare la democrazia come avvertito da Bobbio (“Tecnocrazia e democrazia sono antitetiche: se il protagonista della società industriale è l’esperto non può essere il cittadino qualunque. La democrazia si regge sull’ipotesi che tutti possano decidere di tutto. La tecnocrazia, al contrario, pretende che chiamati a decidere siano i pochi che se ne intendono”) ed intaccare gravemente la forma di governo parlamentare.
Un Governo tecnico, dunque, è destinato ad arrestarsi con il perseguimento degli obiettivi prestabiliti. Al contempo, ciò non esclude la necessaria presenza di una componente tecnica nel Governo di uno Stato democratico. Tale circostanza trova conferma nel contesto pandemico: il 5 febbraio 2020, è stato istituito il Comitato Tecnico Scientifico (CTS), con competenza di consulenza e supporto alle attività di coordinamento per il superamento dell’emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del Coronavirus; il 18 marzo 2020, è stato nominato il Commissario straordinario per l’attuazione ed il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica. Il vertiginoso aumento dei costi di energia e materie prime, riconducibile al conflitto in corso tra Russia e Ucraina, potrebbe giustificare anche alla nomina di un Commissario ad hoc.
In conclusione, il rapporto tra tecnica e politica – a parere di chi scrive – necessita di essere riletto proprio alla luce delle nuove emergenze. Vi è, dunque, l’urgenza di gettare le basi per una convivenza, anche stretta, tra di esse.
la dott.ssa Luana Leo è dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale nell’Università Lum Giuseppe Degennaro