I sistemi agroalimentari rimangono altamente vulnerabili agli shock e alle interruzioni derivanti da variabilità climatica ed eventi estremi, dal conflitto bellico ancora in corso e dalla contrazione economica che ne deriva. Questi fattori, combinati con le crescenti disuguaglianze sociali ed una crescita della popolazione (che si stima possa raggiungere entro il 2050 i 9/11 miliardi di persone), continuano a sfidare la capacità dei sistemi agroalimentari di offrire diete nutrienti e sicure per tutti. Nel suo ultimo rapporto la Fao esprime preoccupazioni che non riguardano solo il mancato raggiungimento degli obiettivi per sconfiggere la fame nel mondo dettati dal cronoprogramma dell’Agenda Onu ma altresì l’impossibilità di accedere a cibo nutriente, sicuro e sufficiente tutto l’anno per circa i 2,4 miliardi di persone che vivono in zone rurali, il che comporta, per milioni di bambini sotto i cinque anni, problemi di arresto della crescita (148 milioni), deperimento (45 milioni) e sovrappeso (37 milioni). Tutti questi fattori di insicurezza alimentare costituiscono, secondo l’ultimo rapporto Fao 2023, la nostra “nuova normalità” contro la quale occorre raddoppiare i nostri sforzi per convogliare i sistemi agroalimentari verso gli obiettivi (che al momento non sembrano raggiungibili) designati dall’Agenda 2030.
Il crescente riconoscimento delle sfide legate all’alimentazione di una popolazione globale in crescita stimola le innovazioni nel sistema alimentare verso modalità di produzioni più sostenibili che stanno incidendo sul nostro futuro panorama agroalimentare. Una tra queste riguarda la produzione di carne coltivata nei bioreattori e, come spesso accade nei momenti delicati di passaggio, i cambiamenti vengono visti con estrema cautela quando non addirittura con duro scetticismo. Come vengono considerate le attuali sfide? Una catastrofe planetaria oppure un modo per contribuire alla salvezza del pianeta? Si può continuare a perseguire un modello economico che privilegia gli allevamenti intensivi e modelli di agricoltura industriale?
Per poter iniziare un percorso valutativo che sia il più possibile oggettivo, per prima cosa occorre sgombrare il campo dagli equivoci. Sentiamo spesso parlare di carne “sintetica” laddove in realtà, nel processo produttivo, di sintetico non c’è nulla. Il prodotto finito che si genera nei bioreattori inizia il suo percorso dal prelievo di una cellula su di un animale vivo, che, al termine del processo, resta vivo. La cellula viene fatta replicare (senza l’ausilio del siero fetale bovino) dividendo le cellule muscolari da quelle del grasso. Ogni cellula isolata può crearne mille miliardi che unite alle cellule muscolari si contraggono e creano un tessuto muscolare avente la stessa struttura, proteine, acidi grassi, minerali, vitamine e ferro della carne. Da una cellula, dunque, si stima si possano ottenere fino ad ottantamila hamburger. Tutto questo farà bene? farà male? Sulla sicurezza della carne così prodotta dovrà esprimersi l’agenzia per la sicurezza alimentare europea (Efsa). Intanto, in assenza di parere, in Italia il Governo ha proibito qualcosa che ancora non esiste vietando la produzione e la commercializzazione di carne “sintetica”. In altre parti del modo la valutazione sulla sicurezza del prodotto è stata positiva. In America, ad esempio, l’Autorità per la sicurezza alimentare Americana (Fda) si è già espressa positivamente sulla carne di pollo coltivata da due aziende mentre a Singapore sono già due anni che si può liberamente consumare la carne di pollo coltivata. Sempre per avere un quadro oggettivo, non ci si può esimere dal fare alcune considerazioni. La prima riguarda la volontà di perseverare su un modello economico che ha dimostrato in tutto le sue criticità consentendo lo sviluppo oltre misura degli allevamenti intensivi. Oggi, volendo applicare l’approccio One Health (che riconosce la stretta relazione tra salute umana, animale ed ambientale) si dovrebbe necessariamente porre un argine agli allevamenti intensivi nei quali il benessere animale non sembra avere un posto tra le priorità e dove la somministrazione di ormoni e antibiotici è prassi sempre più in uso per la prevenzione delle malattie dovute alle scarse condizioni di benessere esistenti in molti degli allevamenti intensivi piuttosto che essere usati in caso di effettiva necessità e su prescrizione medica e dove i gas serra, derivanti dall’allevamento, hanno un impatto negativo sulla perdita di biodiversità. Prassi pericolosa per la salute animale e umana che facilita la comparsa di batteri resistenti agli antimicrobici negli animali facilmente trasmissibili agli uomini attraverso la vendita della carne.
Tutto ciò impone un impegno urgente nella ridefinizione dei modelli economici (incluso il superamento del modello di agricoltura industriale odierno) e nell’adozione di politiche rigorose di contrasto al cambiamento climatico ed esige altresì un’importante riflessione sulla necessità di considerare, anche dal punto di vista giuridico, il nostro Pianeta come un bene comune.
Eliana Baldo è avvocata – Filiera21, Associazione per l’Agroalimentare