L’assegno di mantenimento non è un’ equazione sebbene alcuni Tribunali in passato abbiano cercato di applicare tabelle di calcolo.
Si può parlare di criteri, di parametri di determinazione degli assegni di mantenimento nei giudizi di separazione, divorzio o inerenti la prole nata fuori dal matrimonio?
Un criterio non esiste, ogni caso è a sé stante e per ognuno di essi il Tribunale o le Corti tengono conto degli elementi forniti dalle parti volontariamente o su ordine del giudice.
Per elementi si intende documentazione sui redditi (da lavoro, rendite mobiliari od immobiliari etc..) ma anche documentazione sul tenore di vita della famiglia.
Con descrizione ed allegazione non solo dei redditi dei coniugi ma anche delle attività svolte dai figli, ed in genere delle loro esigenze di vita.
Per esempio la presenza di babysitter, doposcuola, mezzi di locomozione, cure mediche particolari, sport, corsi di lingua straniera, tipo di studi prescelti, ripetizioni private, ecc. ed in genere lo stile di vita loro consentito (vestiti più o meno costosi, uscite serali, gite, viaggi etc…), abbonamenti di telefonia, internet, tv….
Questi dati spesso e volentieri vengono trascurati poiché le parti in causa si concentrano prevalentemente su di sé (il reddito da lavoro, le rendite etc..) e non sui figli dei quali ci si limita a dichiarare quale sia l’età e quale percorso di studi abbiano intrapreso.
È fondamentale, invece, per un Giudice (ma anche per i legali delle parti che tentano accordi di separazione o divorzio) capire il tipo di vita che svolgono i figli e determinare (concordare) in maniera più equa l’ assegno di contributo al loro mantenimento.
Tenendo anche conto poi che molte attività dei figli non rientrano nelle spese straordinarie ma nella ordinarietà dell’ assegno di mantenimento che si deve quantificare e che il coniuge prevalentemente collocatario dovrà gestire.
Attenzione però che la separazione spartisce povertà e non ricchezza, salvo il caso di redditi notoriamente alti, e quindi i “vizi”, le abitudini, consentiti ai figli non tutti possono essere mantenuti.
Ancora ricordo il caso di un marito che esigeva dalla moglie per il figlio, che aveva deciso di vivere con lui il 50% , le spese di mantenimento di un cavallo da corsa del ragazzo.
Lei, un dipendente con medio stipendio non avrebbe mai potuto togliere dal suo budget 400 euro al mese, oltre al mantenimento ordinario dovuto per il figlio non convivente! O manteneva il figlio o il suo cavallo.
Non da ultimo occorre valutare l’effettivo tempo che il genitore non collocatario andrà a dedicare a questi figli quotidianamente o settimanalmente.
Ciò inciderà di molto sulla determinazione di un assegno.
Più è presente il non collocatario nella vita dei figli (sgravando l’altro in termini di accudimento quotidiano, accompagnamenti ad attività varie, ausilio nello svolgimento dei compiti etc..) più il suo contributo indiretto, assicurato tramite l’assegno di mantenimento, potrà essere calmierato ed addirittura annullato nel caso di collocamento alternato presso i genitori che godano di pari reddito e patrimonio.
Nel caso in cui la situazione dei genitori sia diversa è giusto che un assegno di mantenimento rimanga posto che non possono entrambi contribuire nella stessa misura alla esigenze dei figli.
A volte i Tribunali compensano tale disparità ponendo le spese straordinarie a carico prevalente (es nella misura percentuale del 70-80%) del genitore che gode di maggiore patrimonialità.
E se si parla di assegno di mantenimento del coniuge?
Affrontiamo alcune questioni che vanno al di là del caso più semplice, in termini di riconoscimento del diritto, di coniuge senza reddito e senza patrimonio.
Per esempio all’atto della determinazione e successiva quantificazione dell’ assegno di mantenimento il Giudice quale valore attribuisce al patrimonio mobiliare ed immobiliare di un coniuge che, non godendo di reddito da lavoro, od avendo redditi da lavoro di gran lunga inferiori a quelli dell’ altro, insiste per la richiesta di un assegno di mantenimento in suo favore?
Dipende dalla consistenza oggettiva di questo patrimonio.
Poi occorre verificare se il patrimonio sia produttivo di un reddito disponibile.
Il giudicante non può riferirsi solo al un patrimonio fiscale ma a quello produttivo di reddito anche solo potenziale.
Se l’immobile posseduto non produce reddito incolpevolmente, non per inerzia del proprietario quindi, la semplice consistenza patrimoniale, che anzi comporta solo oneri, non può avere un valore ed una incidenza importante all’atto della quantificazione dell’ assegno di mantenimento.
Ovvio che se gli immobili in questione sono molti non potrà non tenersi conto della potenziale commerciabilità e, quindi, vendita degli stessi indipendentemente dal fatto che non si riesca a darli in locazione.
Ci troviamo spesso, poi, di fronte anche a fittizie intestazioni di nuda proprietà di beni immobili al coniuge. Nuda proprietà che invece maschera una proprietà piena del bene perché di fatto dei proventi, che sarebbero destinati all’ usufruttuario, ne beneficia il nudo proprietario anche solo direttamente vivendo in quell’ immobile. Nudo proprietario che negherà la circostanza sino alla fine dei suoi giorni!
Nel caso di coniugi che entrambi lavorano ma è evidente una sproporzione reddituale, il Giudice, riconosce un’assegno di mantenimento compensativo della suddetta sproporzione?
Fino a qualche anno fa la risposta sarebbe stata immediata e senza tentennamenti: sì, la sproporzione deve essere compensata, occorre mantenere lo stesso tenore di vita.
Sempre più di rado oggi viene riconosciuto un assegno di mantenimento compensativo della sproporzione reddituale a meno che essa non sia enorme (es. coniuge con reddito basso, precario o stagionale e professionista benestante). Sicuramente in presenza di coniuge con reddito adeguato, sia pure in presenza di altro coniuge con reddito molto più alto non viene riconosciuto un assegno compensativo.
In primo luogo perché si sta affievolendo il concetto di tenore vita anche nei processi di separazione, in secondo luogo perché Italia si sta uniformando ai criteri dei Tribunali europei che impongono di scoraggiare assegni di mantenimento una volta separati i coniugi per evitare rendite parassitarie e dovere tollerare situazioni di inerzia del coniuge debole che, pur potendosi attivare per reperire un reddito idoneo od integrare quello esistente, compensando quella sproporzione, rimane inerente confidando in un assegno.
La Cassazione si sta uniformando a questi principi ma anche qui in considerazione di singole fattispecie concrete le deroghe esistono.
Cinzia Petitti è avvocato e direttore della rivista www.Diritto§Famiglia.it