Cancellazione della società dal registro delle imprese, i soci ereditano le sanzioni

Si rende sempre più necessaria l’adozione di un modello di organizzazione per gli enti destinatari del D. Lgs 231 del 08.06.2001. Milita in questa direzione l’ultimo approdo di legittimità, a favore dell’ultrattività dell’illecito ex D.Lgs 231 del 08.06.2001, che non si estingue all’esito della cancellazione – non fraudolenta – della società dal registro delle imprese ma continua a produrre effetti in capo ai soci, che ne ereditano le sanzioni. È quanto da ultimo statuito dalla IV Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 9006 del 17.03.2022, pronunciata nell’ambito di un giudizio abbreviato che vedeva imputati i legali rappresentanti di una Srl, per il reato di lesioni colpose, perpetrato nei confronti di un dipendente, in violazione della disciplina antinfortunistica.

Con la pronuncia in commento i giudici di ultima istanza si sono uniformati alla decisione con cui la Corte di Appello di Bologna, a sua volta confermando la statuizione del Tribunale di Modena, aveva condannato per i reati loro ascritti i due amministratori e, al contempo, aveva irrogato alla società il pagamento di una sanzione pecuniaria, perché ritenuta responsabile delle lesioni gravi o gravissime di cui all’art 25 septies del D.Lgs 231/01, scaturite dalla condotta omissiva violativa delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Ciò, nonostante la parte ricorrente e il Procuratore Generale, concordemente, avessero richiesto la declaratoria di estinzione dell’illecito, in ragione della documentata cancellazione della società – asseritamente assimilabile alla morte della persona fisica – che, altrimenti, avrebbe spostato in capo ai soci l’addebito di responsabilità gravante sull’ente estinto.
In senso contrario i Giudici di legittimità, hanno statuito che “la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti la violazione dell’illecito ex art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. n. 231/2001, in relazione al reato di lesioni personali colpose che si assume commesso nell’interesse e a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”, sì ponendosi “in consapevole contrasto con il precedente di legittimità”.
Difatti, il principio di diritto prevalente, indiscusso e sino a questo momento largamente applicato, stabilisce che “in tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato”, senza che sia possibile trasferirne le conseguenze in capo ai soci.
La scelta operata dalla pronuncia in commento, nel prendere le distanze dalla assimilazione dell’estinzione fisiologica dell’ente alla morte dell’imputato, mutua il principio civilistico a mente del quale la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio tale per cui i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono in capo ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate”, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente. La pronuncia, nonostante l’improbabile avallo dalla successiva giurisprudenza di legittimità non può passare inosservata, quantomeno in ragione degli effetti che è in grado di produrre nella sfera giuridica dei soci dell’ente destinatario dell’addebito ed offre un ottimo spunto di riflessione in ordine all’irrinunciabilità della scelta di adottare un modello organizzativo che imponendo ferree regole di condotta, consenta di porre in essere tutte le cautele necessarie ad andare esente da responsabilità amministrativa da reato non solo la società o l’ente ma anche i suoi soci, quali possibili ereditieri delle conseguenze sanzionatorie delle condotte illecite dalla stessa perpetrate.
Avv. Gaia Delucia

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