Già a partire dall’anno scorso, e sempre più nell’ultimo periodo, stiamo assistendo al vertiginoso rincaro delle materie prime, con ricadute significative su tutti gli attori della filiera. In riferimento ai prodotti agroalimentari i recenti dati Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) evidenziano un incremento esponenziale dei prezzi di diverse classi merceologiche, nello specifico: cereali e riso, olio d’oliva, prodotti ittici, carni e uova, ortofrutta, uva da vino, latte e formaggi. Se si considera poi l’aumento dei prezzi di energia, gas, carburante, risorse idriche e costi di smaltimento dei rifiuti, non stupisce che le Pmi siano quelle maggiormente colpite. Rincari che inevitabilmente finiscono per pesare pure sul portafoglio dei consumatori finali, anche se spesso si tratta di speculazioni. La pandemia prima, ed il conflitto fra Russia ed Ucraina poi, hanno di fatto acuito situazioni già da lungo tempo problematiche e talune delle soluzioni proposte destano non poche perplessità. In seguito allo scoppio della guerra si sono infatti avuti numerosi “allentamenti” concessi dalla Commissione europea agli Stati membri per usufruire dei terreni incolti e produrre qualsiasi coltura per l’alimentazione, a scapito degli obiettivi del Green deal e della sostenibilità. Tutto questo, continuando di fatto a favorire modelli di agricoltura e zootecnia intensivi con scarsa o nulla diversificazione, si pone in direzione diametralmente opposta rispetto alle azioni che andrebbero intraprese per contrastare il cambiamento climatico. Con lo scoppio della guerra si è tanto parlato anche della scarsità degli approvvigionamenti di grano duro, non precisando però, soprattutto in un primo momento, che i Paesi che riscontreranno i maggiori problemi in termini di food securty sono quelli nordafricani e mediorientali. Si consideri inoltre che la maggior parte dei terreni agricoli europei sono destinati alla produzione di mangimi, basterebbe dunque ridurre di pochi punti percentuali la produzione animale per ridestinare numerosi ettari alla coltura di cereali per il consumo umano (e ridurre così la dipendenza dalle importazioni da Paesi terzi).
I tempi sono ormai maturi per un generale ripensamento dell’intera gestione delle filiere e, sebbene stiano fiorendo sempre più realtà virtuose, l’obiettivo resta quello di diffonderle a sistema. Alla luce dell’inesorabile cambiamento climatico (si pensi da ultimo alla siccità estrema del Po) ed alla crescente scarsità di risorse, soluzioni potrebbero rinvenirsi anche attraverso lo sviluppo di nuove o già esistenti tecnologie: dal genome editing applicato alle piante, all’utilizzo diffuso di fonti rinnovabili quali le biomasse, il bioetanolo o la fotosintesi artificiale, per citarne alcune. Nell’ottica di un adattamento che tenga conto di compliance normativa (energetica, ambientale ed agroalimentare) per il contenimento dei rischi ed il raggiungimento di risultati concreti, giova ricordare come non si possa prescindere dall’analisi dei dati, nonché dall’instaurazione del dialogo.