Accolto il reclamo di una società sulla ristrutturazione del debito: «Sì alla continuità aziendale»

«Salvaguardare la continuità aziendale si oppone all’alternativa del fallimento. Tale concetto è stato recentemente ribadito e affermato dalla corte di appello di Lecce, in virtù del fatto che la proposta di continuità indiretta era più conveniente rispetto all’opzione della chiusura o del fallimento». È quanto sostiene Massimo Scannicchio, dottore commercialista esperto nella consulenza professionale in materia di crisi d’impresa.

Cosa è stato sancito con la recente sentenza?

«La Corte d’Appello di Lecce ha ribalto un decreto del Tribunale accogliendo il reclamo presentato da una società del territorio che chiedeva l’accordo di ristrutturazione del debito con transazione fiscale e previdenziale, precedentemente bocciato in primo grado. Un simile sentenza rappresenta un deciso passo avanti per confermare la convenienza della continuità aziendale rispetto all’alternativa fallimentare».

Dunque una buona opportunità per tutte le imprese in difficoltà.

«La sentenza, oltre a supportare l’orientamento del legislatore che ha emanato il Codice della Crisi, proprio per le aziende a medio rischio rappresenta è una doppia opportunità, per chi salva e per chi viene salvato. In questo caso non è la società in difficoltà che propone di abbattere il debito e ripartire ma una esterna che pur di entrare nel mercato di riferimento, propone di pagare un prezzo stabilito salvaguardando l’occupazione del personale coinvolto».

Quindi quali sono i vantaggi introdotti dal Codice della Crisi?

«Sicuramente la salvaguardia della continuità aziendale rappresenta uno dei principi cardine della riforma della Legge Fallimentare introdotta dal Regio Decreto n.267 del 1942 ed oggetto di diverse successive modifiche ed integrazioni. Da questa, direi a cascata, ci sono la salvaguardia occupazionale dei lavoratori dell’azienda, un indubbio vantaggio nel lungo periodo per le casse dello Stato in termini di maggiori entrate per contributi ed imposte e, di conseguenza, evitando uscite per ammortizzatori sociali che lo Stato non dovrà corrispondere per i lavoratori in caso di perdita del posto a seguito del fallimento della società in crisi».

Quanto è utilizzata la norma?

«In linea generale l’istituto esiste da molti anni. Per la mia area di competenza ritengo che i casi in cui potrebbe essere utilizzata sono tanti e comunque in aumento. Le motivazioni di base sono varie. Sicuramente stiamo attraversando una fase di stallo economico. Inoltre la norma ha aumentato il bacino di potenziali utenti e soprattutto oggi c’è maggiore conoscenza e padronanza delle “regole del gioco” da parte dei professionisti chiamati a supportare le imprese».

Quali sono le conseguenze?

«C’è una maggiore specializzazione di tutto il tessuto di professionisti che assistono le aziende. La tendenza è quella di aumentare le competenze aziendalistiche, giuridiche e di natura più strettamente fiscale in favore di una cultura trasversale. Inoltre man mano che si va avanti aumenta anche lo storico di utilizzo dell’istituto e ci si rende conto che è applicabile a più casi. È anche vero che oggi i requisiti di accesso son stati semplificati e ben disciplinati».

Ad esempio?

«La percentuale di adesione dei creditori è stata notevolmente ridotta passando dal 60 al 30%. Inoltre la negoziazione avviene in maniera privata, è previsto solo l’intervento del tribunale nell’ultima fase per l’Omologa, cioè il sigillo finale all’accordo».

Quali sono le condizioni essenziali per l’applicazione del Codice di prevenzione della crisi?

«La convenienza economica della proposta, di Transazione Fiscale e Previdenziale, deve essere valutata e certificata della relazione di un professionista attestatore. Devono essere esplicitati tutti gli aspetti che renderebbero vantaggioso l’accordo di transazione rispetto alla liquidazione giudiziale. I creditori devono “essere soddisfatti” con un trattamento economico migliorativo rispetto all’alternativa del fallimento della società».

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