Aborto, Logrillo: «Rischio criminalizzazione con ripercussioni giuridico-penalistiche»

La recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha sancito che il diritto all’aborto non sarà più garantito a livello federale ha scosso milioni di persone in tutto il mondo e portato alla ribalta un tema di estrema attualità anche in Italia. Valeria Logrillo, avvocata penalista, sottolinea che anche nel “bel paese” non bisogna dare per scontato il diritto all’aborto ed evidenzia vizi e virtù dei sistemi giuridici statunitense ed europeo.

Avvocata, come giudica quanto sta succedendo negli Stati Uniti?

«Questa sentenza colpirà gravemente tutte le donne. Il pericolo è che qualsiasi interruzione di gravidanza anticipata potrà essere considerata un reato e le donne potrebbero dover affrontare anche il tormento di un processo. Il rischio di criminalizzazione con ripercussioni giuridico-penalistiche è alto e colpirà soprattutto le donne che, con un reddito più basso, non potranno cercare soluzioni alternative, come quelle che sono dipendenti delle grandi aziende americane che hanno già dichiarato aiuto e sostegno a riguardo».

Si riferisce all’annuncio di Disney, Meta, Netfix e Google di dare la massima assistenza alle donne che vorranno avviare una pratica di aborto in stati dove è permesso?

«Esattamente. Sarebbe, infatti, opportuno precisare che seppur lodevole questo genere di iniziativa non risolve il tema delle differenze sociali e comunque temo possa mettere gravemente a repentaglio il diritto alla riservatezza delle donne che vorranno accedervi».

Dal punto di vista sanitario cosa potrebbe accadere?

«È possibile lo sviluppo di un sistema sanitario clandestino parallelo, praticamente un ritorno al passato. Devo dire che in generale gli Stati Uniti non sono un esempio da seguire in molte aree della società».

Può spiegare meglio?

«Guardo con scetticismo all’America quando si affrontano temi che riguardano il loro sistema giudiziario/penitenziario, sanitario e universitario. Non li considero assolutamente dei buoni esempi proprio a causa della discriminazione reddituale sulla quale si basano e l’assenza di quello che in Europa definiamo Stato sociale».

In Italia invece com’è tutelato il diritto delle donne all’aborto?

«La legge 194/78 sancisce le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” e contemporaneamente anche il diritto all’obiezione di coscienza che “esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Purtroppo ad oggi i due aspetti non solo non convivono armonicamente ma addirittura sono in perenne conflitto».

Come mai accade questo?

«In media negli ospedali italiani i ginecologi obiettori di coscienza sono più dell’80% del totale. In alcuni casi anche la totalità, questo rende assai difficoltoso esercitare un proprio diritto. A questo punto ci si chiede che valore abbiano le norme se non possono essere attuate».

Qual è la soluzione per chi volesse esercitare questo diritto?

«Intraprendere un’azione legale contro la struttura che impedisce la pratica abortiva è sicuramente una possibilità, questa strada tuttavia potrebbe non essere risolutiva nell’immediato. Le statistiche dicono che molte donne si spostano verso regioni in cui c’è una maggiore presenza di medici non obiettori di coscienza o quantomeno dove c’è un rapporto numerico equilibrato tra obiettori e non. A quanto pare l’Emilia-Romagna è una di queste regioni».

In Europa invece com’è la situazione?

«Non in tutti i paesi europei esiste una legge che prevede l’obiezione di coscienza: uno di questi è la Svezia. A questo proposito è importante citare il caso giunto all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo nel marzo 2020 “Grimmark contro la Svezia”. In particolare, le due ricorrenti, Ellinor Grimmark e Linda Steen, si sono più volte viste rifiutare impieghi da ostetriche in diverse cliniche e ospedali pubblici svedesi, poiché dichiaratesi indisponibili, a causa dei loro convincimenti religiosi, a effettuare procedure abortive. La Cedu ha dato loro torto, affermando che la necessità di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza su tutto il territorio nazionale consente allo Stato di prendere tutte le misure necessarie per organizzare il proprio sistema sanitario nazionale di conseguenza, anche incluso l’obbligo per il personale sanitario di fornire tutte le prestazioni legate alla procedura abortiva. La corte di Strasburgo si è dimostrata certamente più lungimirante della Corte Suprema americana: forse più che al sogno americano potremmo guardare al sogno europeo».

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