Mentre si discute se prorogare o meno lo stato di emergenza, le Parti Sociali hanno firmato il nuovo Protocollo sul Lavoro Agile, che disattende le aspettative di chi sperava in una regolamentazione avanguardista. Le nuove linee guida si pongono nel solco della legge n. 81/2017 e i pochi tentativi di cambiamento rimangono imbrigliati nell’incapacità di abbandonare gli schemi precostituiti. Emblematico il fatto che, da un lato, venga rimarcata come caratteristica principale del lavoro agile l’assenza di un preciso orario di lavoro, dall’altro, invece, viene ammessa la fruizione di permessi orari. L’accordo delude anche le aspettative di chi si aspettava una puntuale disciplina in materia di disconnessione, in grado di assicurarne il godimento effettivo da parte dei lavoratori e facilitare il raggiungimento del “work-life balance”. Difatti, sebbene l’esperienza emergenziale abbia incastrato lo smart working nelle mura domestiche, facendogli perdere l’ontologica flessibilità, lavorare in maniera agile dovrebbe tradursi nella possibilità di svolgere la prestazione lavorativa da ogni luogo. Soprattutto oggi che lo smart working si è trasformato dalla Cenerentola alla punta di diamante dell’organizzazione aziendale, è necessario che nell’attuare progetti di lavoro agile venga riconosciuta la sua naturale flessibilità. Affinché questo sia possibile è imprescindibile riportare al centro della normativa l’importanza di un’effettiva flessibilità di luoghi e orari e garantire il godimento del diritto alla disconnessione. Apprezzabile, invece, il ruolo centrale che viene affidato alla contrattazione collettiva, la sede più appropriata in cui disegnare una nuova modalità di organizzazione del lavoro.
Francesco Amendolito
Docente di Diritto del Lavoro e Relazioni Sindacali Università L.U.M.