Strutture fatiscenti e diritti negati: «I Cpr? Da chiudere il prima possibile»

Luoghi-non luoghi, che assomigliano tanto a carceri, con celle stipate di persone, dove il tempo non passa mai, situati per lo più lontano dalla vista dei cittadini comuni. Strutture spesso fatiscenti, con servizi igienici precari e spazi comuni nulli o scarsi. Sono solo alcune delle caratteristiche problematiche riscontrate dal Tavolo asilo e immigrazione, la principale coalizione della società civile italiana impegnata nella promozione e tutela dei diritti delle persone di origine straniera, con più di 40 aderenti al termine di una serie di visite di monitoraggio effettuate negli otto Cpr (centri di permanenza e rimpatrio) attivi sul territorio italiano.

I sopralluoghi sono stati effettuati a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro), Milano, Roma, Palazzo San Gervasio (Potenza), Bari, Restinco (Brindisi), Caltanissetta in accordo con i/le parlamentari del Gruppo di Contatto, che fanno capo ai partiti di opposizione (PD, Movimento 5Stelle, Verdi e Sinistra Italiana, +Europa), in presenza di medici, avvocati e mediatori linguistici. Il verdetto del Tavolo è stato unanime: «I Cpr vanno chiusi e non rispettano le norme di legge».

Gli accessi sono avvenuti senza particolari ostacoli, solo due centri hanno fatto ostruzionismo ai rappresentanti politici e/o ai membri del tavolo tra cui il Restinco di Brindisi dove è stato consentito l’ingresso soltanto al deputato Pd Claudio Stefanazzi, accompagnato da un medico e da un mediatore culturale. I gestori sapevano della visita, quindi le informazioni raccolte solo parzialmente riflettono le condizioni ordinarie di trattenimento. Nessun impedimento invece per le visite nel Cpr di Bari e a Palazzo San Gervasio a Potenza.

Nello specifico dai sopralluoghi nelle strutture pugliesi e lucane è emerso che a Bari l’ente gestore è la onlus “La mano di Francesco”, subentrata da pochi mesi a Badia Grande. Su una capienza prevista di 126 posti, attualmente il massimo previsto è di 71 perché 3 moduli sono tuttora inagibili. Attualmente vi sono trattenute 66 persone provenienti per la maggior parte da Tunisia e Marocco. Altre nazionalità presenti sono Gambia, Nigeria, Egitto, Albania, Algeria. Presenti anche un cittadino rumeno e un cittadino brasiliano. La maggior parte dei presenti proviene da rintraccio sul territorio, un 30% circa proveniente da carceri.

Attualmente non risultano presenze a seguito di sbarco e nemmeno dei minori, anche se solitamente questi ultimi restano per un breve periodo nel centro in attesa che la loro età venga accertata al momento dell’arrivo in Italia. Le informazioni raccolte a Brindisi sono frammentarie, ma al momento, su una capienza massima di 48 posti ne sono occupati solo 16 da migranti provenienti da Tunisia, Gambia, Romania e Kirghizistan.

Di questi tre sono stati detenuti precedentemente in carcere. Il gestore di Palazzo San Gervasio a Potenza è la cooperativa Officine Sociali. Il Cpr può ospitare un massimo di 98 persone e al momento ne sono trattenute 89, in prevalenza tunisini, nigeriani e marocchini (recentemente anche una persona australiana). Tra loro non ci sono minori e nemmeno donne. La direttrice ha informato i membri del Tavolo che alcuni degli ospiti sono stati anche in carcere ma non ha voluto fornire ulteriori dettagli.

Al di là delle specificità dei singoli centri di permanenza e rimpatrio, le informazioni raccolte nel corso delle visite non sono state solo quantitative ma qualitative sulle condizioni delle strutture e della permanenza, garanzia del diritto alla salute, tutela legale, servizi erogati e comunicazioni con l’esterno. Il quadro emerso è preoccupante in tutti gli otto Cpr. È stato possibile parlare con alcuni ospiti dei centri. Da questi colloqui sono emerse le criticità maggiori: sensazione di spaesamento, estraneazione, non sanno cosa fanno lì e per quanto tempo, non sono stati informati dei diritti che hanno, vogliono parlare con un avvocato, hanno chiesto aiuto per questo. Prendono farmaci e non sanno perché.

Non sempre è garantita la loro privacy, sicuramente nelle celle, ma anche nelle toilette e nei colloqui con gli avvocati, quando esistono. Sono state riscontrate criticità sanitarie gravi che sollevano rilevanti preoccupazioni. Dalle patologie gravi conclamate e non trattate, alla somministrazione di psicofarmaci in maniera massiccia. Scarsi i protocolli di collaborazione e l’attivazione di reti territoriali per i servizi sanitari e per gli altri servizi associati, compresi per tossicodipendenze e benessere delle persone. La garanzia della tutela dei diritti è spesso assente o solo formale, a partire dai diritti di informativa. Laddove è stato possibile visionare il registro degli eventi critici, atti autolesivi e gesti anticonservativi sono risultati all’ordine del giorno, così come è impressionante il numero di tentativi di suicidio, normalizzati nel racconto dell’ente gestore e derubricati a mera “simulazione”.

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