Referendum sul divorzio a 50 anni dalla vittoria della laicità dello Stato


Ricorre, il 12 maggio, il 50esimo anniversario del referendum popolare sul divorzio. Si trattò di una battaglia politica e civile di prima grandezza. Per la prima volta in Italia si faceva ricorso all’istituto del referendum abrogativo, che si tenne in un clima di grande partecipazione democratica (votò oltre l’87 per cento degli aventi diritto) e nello stesso tempo di grande contrapposizione tra gli opposti sostenitori. Ciò che veniva messa in discussione da parte cattolica era la legge Fortuna-Baslini approvata nel dicembre 1970, che introduceva in Italia l’istituto del divorzio.

Nonostante diversi tentativi di arrivare a una mediazione che portasse a un accordo per evitare il referendum, la cosa non riuscì, sicché ci si dovette misurare col voto. La Dc, guidata dal segretario politico Amintore Fanfani, scese in campo alleata con il partito del Msi di Almirante. All’interno del mondo cattolico non furono, però, pochissime le forze che si schierarono per il mantenimento della legge e che comprendevano settori della Cisl, delle Acli e intellettuali, che non condividevano i toni rozzi imposti da Fanfani e si battevano perché lo Stato mantenesse il suo carattere di laicità e concorresse a garantire tutti i cittadini, indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose.

Il fronte divorzista, formato dal Pci e dai partiti laici, mantenne un profilo ragionevole cercando di convincere gli elettori della giustezza delle proprie posizioni, che cercava di porre rimedio ad un matrimonio infelice o fallito. Il risultato finale del referendum sorprese tutti gli osservatori e anche le forze politiche. Il No all’abrogazione della legge conquistò oltre 19 milioni di consensi, mentre il Sì superò di poco i 13 milioni. Una vittoria schiacciante. Furono soprattutto le città che determinarono la vittoria del No.

Le grandi e le medie città sia del Centro-Nord che del Mezzogiorno diedero un grande contributo al mantenimento della legge, facendo un scelta di libertà, di tolleranza e di modernità. Le Regioni del Mezzogiorno, a differenza di quanto era accaduto nel 1946 per il referendum monarchia/repubblica, diedero un loro significativo apporto. In Abruzzo, in Sardegna e in Sicilia i sostenitori del divorzio si affermarono, mentre la proposta abrogazionista vinse in Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia. In quest’ultima regione i Sì vinsero in tutte le province, meno in quella di Taranto, ma persero in tutti i capoluoghi di provincia, con l’eccezione di Foggia dove i divorzisti persero per appena 100 voti di differenza.

La vittoria del No aprì una nuova stagione politica e civile dell’Italia, che si era dimostrata più avanti di quanti la governavano. Determinante fu l’apporto delle donne che nella grande maggioranza confermarono la legge facendo valere quel protagonismo che sarà uno dei loro tratti distintivi nella battaglia di emancipazione e di liberazione degli anni Settanta. Anche le giovani generazioni riversarono il loro voto a favore del divorzio.

I diritti civili, che erano stati fino ad allora poco considerati, se non compressi, cominciarono a farsi strada. Mutò la legislazione sulla famiglia con l’approvazione del nuovo diritto, che aboliva la patria potestà e sanciva la parità all’interno della coppia. Venivano riconosciuti i figli nati fuori dal matrimonio, mentre quattro anni dopo, il Parlamento approvò la legge 194 che riconosceva alle donne il diritto di interrompere la gravidanza. Una legge che sarà poi riconfermata attraverso un referendum popolare tre anni dopo col voto favorevole dei due terzi degli italiani.

Di Michele Galante
ex parlamentare e presidente Anpi Capitanata

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