Il 2021 è stato un anno nero per l’agricoltura. Hanno influito il cambiamento climatico e la crisi legata alla Xylella, così come l’aumento dei costi energetici. Il risultato è stato un -27% della produzione rispetto alla media degli ultimi cinque anni (dati Coldiretti). Quello che non raccontano i numeri, però, è la frammentazione delle imprese pugliesi e le difficoltà nel compattarsi quando si tratta di contrastare le gare al ribasso. Un problema storico che, con l’introduzione della nuova Pac, la politica agricola comune dell’Unione europea, rischia di ridurre le risorse all’olivicoltura. Giuseppe L’Abbate è deputato del Movimento Cinque Stelle ed ex sottosegretario all’agricoltura.
Onorevole, i produttori di olive temono di perdere risorse con la nuova ridistribuzione basata sulla produttività. Andrà così?
«Probabilmente sì per quanto riguarda l’OCM (Organizzazione comune di mercato, ndr). La colpa, però, non è dell’Europa ma della frammentazione delle imprese pugliesi».
Perché?
«Noi non imbottigliamo l’olio ma vendiamo le olive. Questo vuol dire che le nostre OP commercializzano poco il prodotto finito e questo ci penalizza».
A quanto potrebbe ammontare la perdita in termini di finanziamenti?
«Fino a 34 milioni perché, queste risorse, dal 2023 saranno distribuite in funzione della commercializzazione anche se poi potranno essere recuperate sullo Sviluppo Rurale».
Perché il sistema imprenditoriale pugliese nell’olivicoltura è così frastagliato?
«Prevale l’individualismo. Produciamo il 50% delle olive italiane ma il prezzo lo fa la Toscana. Le nostre piccole aziende competono al ribasso sul prezzo invece di fare squadra».
Accade solo in Puglia?
«In tutto il Sud. Qui un quintale di olive arriva a costare 40 euro. In Toscana non si scende sotto i 120. Questo perché nessuno si muove da solo, imbottigliano e commercializzano quello che producono. Noi continuiamo solo a vendere le olive».
Gli olivicoltori devono temere una perdita di risorse anche dai fondi Fesr, Il Fondo europeo di sviluppo regionale?
«Questo credo di no. Secondo le ultime stime sommando quanto verrà distribuito tra eco-schema e aiuto accoppiato si dovrebbe arrivare a circa 350 euro ad ettaro. Il cambio di approccio di cui parlo dev’essere a prescindere da quanto si otterrà dai finanziamenti».
Riguarda solo gli olivicoltori?
«Assolutamente no. Lo stesso discorso vale per le altre produzioni agricole. Pensiamo alle ciliegie. I produttori si mettono in fila e l’intermediario di turno decide il prezzo. È chiaro che così si favorisce la corsa al ribasso».
In tutto questo non ha colpe la grande distribuzione?
«Meno di quanto si pensi. Esiste anche altrove ma solo qui si arriva a prezzi così bassi che non ripagano i produttori. Grazie ad una novità normativa divenuta operativa lo scorso dicembre, le pratiche sleali sono finalmente punite: tra queste rientra anche l’acquisto sottocosto. Se le aziende fossero più unite non accadrebbe, così come non succede in altre parti d’Italia».
Ad esempio?
«In Alto Adige, dove ci sono 7 mila produttori di mele e una grande azienda che le acquista e le commercializza. Nessuno, però, contratta il prezzo da solo».
La politica, però, non può essere scevra da responsabilità sull’attuale stato di cose…
«Noi abbiamo l’importante ruolo di indirizzare le risorse, spingendo verso una migliore organizzazione delle imprese. Purtroppo però ci scontriamo con un ritardo culturale. Spero che la nuova generazione di imprenditori agricoli faccia un salto di qualità».
Lei, però, è del M5S e sostiene la giunta Emiliano. Davvero la Regione non può fare di più nel favorire l’aggregazione dei produttori?
«Non molto però non ho problemi a dire che sul piano di sviluppo rurale la Puglia non ha brillato».
Sotto quale aspetto?
«Un giovane che vuole aprire la prima azienda usufruendo del piano non ci riesce prima di quattro anni. Molte risorse, poi, non sono ancora state spese. Su queste cose si poteva e si può fare di più».