Caro affitti a Bari, incerti gli alloggi per studenti: «Solo chiacchiere sui milioni del Pnrr»

È maggio e l’organizzazione giovanile comunista “Cambiare rotta” protesta in tutto il Paese contro il caro affitti. Lo fa posizionando tende da campeggio davanti alle università principali d’Italia. Una presidio che dura esattamente 24 ore, anche all’Università degli Studi di Bari, in via Nicolai, davanti all’ingresso.

«Ce ne andiamo fieri di portare a casa un piccolo risultato, aver strappato 660milioni di euro per gli alloggi studenteschi». Queste le dichiarazioni di alcuni giovani del Movimento che quel giorno, il 16 maggio, promettono di non demordere e di non abbassare la guardia.

È fine agosto e ancora non è chiaro cosa succede ai fondi per gli alloggi universitari. «Perché state spostando le nostre risorse e non le togliete, invece, ai Ministeri?». Un chiaro riferimento al dicastero dell’Università e a farlo è proprio il sindaco di Bari Antonio Decaro che in Consiglio comunale ieri è tornato sulla questione dei fondi Pnrr tagliati ai Comuni e in un dibatto acceso ha raccontato della convocazione, voluta in extremis dalla ministra Anna Maria Bernini, per capire come usare i fondi per gli alloggi universitari.

Sono quasi 7mila gli studenti fuorisede a Bari e gli alloggi regionali sono garantiti solo per 1.047 persone. Un numero che soddisfa appena l’11% delle richieste. Sono dati che riferisce lo stesso rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini. E per rientrare tra gli studenti o le studentesse a cui è garantito, oltre la borsa di studio, un alloggio dall’ADISU Puglia – secondo il Bando “Benefici e Servizi” per l’anno accademico 2023/2024 – l’indicatore della Situazione Economica non deve essere superiore a 25mila euro, ammesso che ci sia posto.

«Non ci meravigliamo di questo giochetto che il Governo e l’opposizione continuano a fare sulla pelle degli studenti facendoci pagare un diritto allo studio che ci viene negato. Metaforicamente da maggio le tende non le abbiamo mai tolte, perché siamo sempre stati consci che il Governo e le Regioni non avrebbero mai fatto nulla. Solo chiacchiere su milioni e miliardi provenienti dal Pnrr». Sono le parole di Giuseppe Racanelli coordinatore di Cambiare rotta a Bari. Con lui ripercorriamo questi mesi cercando di capire come si sta organizzando il movimento viste le ultime dichiarazioni istituzionali.

I 660 milioni sono stati sbloccati ma qual è la situazione attuale dal vostro punto di vista?
«Ora ci ritroviamo in una situazione in cui Bari è la città con il rincaro più alto d’Italia sul costo degli affitti delle case. Ci ritroviamo con lo stesso numero di studentati che avevamo prima e con un Governo che non ha fatto assolutamente nulla per il tema del diritto alla casa e per gli studenti universitari. Ce lo aspettavamo».  

Intanto il Movimento che in questi ultimi mesi ha monitorato la situazione, non soltanto Bari ma anche in tutta Italia, il 14 settembre sta organizzando una mobilitazione nazionale sotto gli enti regionali per il diritto allo studio.

«Sono proprio loro che si dovrebbero occupare concretamente di questo problema che diventa sempre più grave. Con le lezioni universitarie alle porte ancora devono capire dove utilizzare fondi per gli alloggi universitari. Una situazione inaccettabile e pertanto le nostre rivendicazioni rimarranno fino a quando il Governo non abolirà permanentemente la legge 431 del ‘98 – che permise con governo di centro-sinistra la liberalizzazione degli affitti – e non si reintroduce un equo canone con un intervento a livello strutturale per garantire il diritto alla casa per gli studenti universitari».

Sul tema del diritto all’abitare c’è il Movimento per il diritto all’abitare che sta organizzando una tre giorni di discussioni e tavoli a Roma, 8, 9 e 10 settembre. Ma non solo, tra le tematiche il movimento Cambiare rotta il 9 settembre, sempre a Roma, parlerà della precarietà giovanile sempre dentro la cornice del tema del caro affitto e il diritto alla casa per gli studenti universitari.

Cosa affronta ogni giorno lo studente nella sua vita universitaria? 
«Non è solo un problema di caro affitti. Viviamo in un periodo in cui anche a causa della guerra in Ucraina c’è un rincaro in generale dei costi della vita. Lo studente quotidianamente deve far fronte ad un aumento generale dei costi delle bollette del gas e della casa e quindi vive in una precarietà generale in quanto non ha supporto materiale affinché possa pianificare la sua vita sul lungo termine».

Perché sta accadendo questo secondo te?
«Si tratta di una responsabilità dei governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni e che hanno seguito una precisa logica di costruzione del modello universitario in cui noi oggi ci ritroviamo. Viviamo in una situazione in cui lo studente viene abbandonato a se stesso senza un minimo di garanzia con un modello universitario che getta lo studente nel mare della competizione. Lo abbiamo visto anche mesi fa con vari suicidi che ci sono stati da parte di studenti universitari, perché non riuscivano a reggere la logica della arrivismo e della competizione. Noi l’abbiamo sempre detto dalle prime mobilitazioni dell’anno scorso che ci vuole una nuova università ma dentro una nuova società».

Dopo la protesta nazionale a Roma il Movimento si è spostato dalla Sapienza al Ministero per chiedere un reddito studentesco e poi anche in Regione. È giusto?
«Si. È stato fatto per aprire un tavolo permanente di discussione in modo tale che proprio al Ministero dell’Università e della Ricerca si facciano una serie di richieste in cui oltre alla abolizione della legge 431 del ‘98 e della reintroduzione dell’equo canone, si faccia richieste esplicita di un reddito studentesco. Una misura di welfare, una garanzia per tutti quegli studenti delle fasce popolari che non possono permettersi una garanzia del diritto allo studio». 

Da quali risorse dovrebbe arrivare questo reddito studentesco?
«Dalla tassazione dei profitti che le aziende private, che collaborano con le università, traggono dalla filiera formativa. Per noi non è corretto che ci siano esterni che hanno ampi margini di profitto e studenti con una vita estremamente precaria. La tassazione di quel profitto che i privati traggono dall’università deve essere distribuita sotto forma di reddito studentesco a tutti gli studenti delle fasce popolari, perché proprio loro non possono permettersi una vita dignitosa». 

Tutto però è deciso dal parametro del reddito, l’ISEE  
«A nostro avviso anche l’ISEE non è un parametro che rispecchia quanto dovrebbe la reale situazione materiale perché chi non rientra per pochissimo in quei parametri, che gli permetterebbero di ricevere dalla Regione delle agevolazioni per lo studio, non vive una situazione migliore degli altri. Nella realtà lo studente è costretto a cadere nel buco nero del lavoro povero, del lavoro nero, per potersi pagare una vita e uno studio che costa sempre di più. Il parametro ISEE non va a contemplare quella situazione che si vive quotidianamente». 

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