«Sono “a piccerella” di Arbore e Murolo. Non ho mai inseguito i successo perchè ho preferito rimanere coerente con me stessa». Con queste parole Tosca, all’anagrafe Tiziana Donati ha raccontato la sua vita di donna e arista al fianco dei più grandi nomi della musica italiana. La cantante il 30 marzo sarà a Monopoli con “Sto core mio”, un omaggio al maestro Murolo. Uno spettacolo di suoni e parole, con alcune perle rare scoperte grazie alla collaborazione della fondazione dedicata al grande musicista napoletano.
Ha debuttato a Sanremo nel 1992, dove ha percorso i suoi primi passi. Cosa ricorda di quell’esperienza?
«Ero una ragazzina piena di belle speranze. Avevo capito subito che la strada era tutta in salita avendo scelto la musica d’autore. Indossavo un abito di Armani con una camicia chiusa sotto il mento e la vera sfida era far parlare più un’anima e una voce e non una moda. È stato un percorso a volte in discesa ma che rifarei mille volte».
Nel 1996 ha vinto in coppia con Ron in “Vorrei incontrarti fra cent’anni”. In che rapporti è rimasta con l’artista?
«Ci vogliamo davvero tanto bene. Rosalino è una persona speciale con il quale ho condiviso un attimo importantissimo della mia vita. C’è un filo rosso che ci lega».
In una sua biografia viene definita come cantate e attrice. Lei come si sente più a suo agio?
«Al contrario di altri artisti per me non c’è differenza. È come se mi chiedessi se voglio più bene a mamma o a papà, li amo entrambi in maniera diversa. Il teatro è un’arte che ti riporta sempre con i piedi per terra, è povera, semplice ed è un qualcosa di primordiale. La musica per me è un elemento naturale paragonabile al mangiare. Sono due cose che amo, l’unica differenza sta nel farlo bene o farlo male. Con l’Officina Pasolini guido la vita di giovani talenti e mi sono fatta io stessa la domanda “ti piace più dirigere o essere diretta?”. Io mi tuffo in tutto ciò che mi stimola».
È tra i pochissimi artisti italiani ad aver vinto anche due targhe Tenco in un mondo in cui “la bravura” di un artista viene quantificata dal numero di stream o dal successo che ha quando esce da un talent. Cosa pensa al riguardo?
«Mercificare un’artista è l’errore più grande. Lo streaming non va di pari passo con il successo. È un’illusione di un mercato che ha l’esigenza di controllare per limitare i danni. Credo che si debba tornare ad ascoltare e non consumare. Appartengo a quella cerchia di artisti che ascoltano e vengono ascoltati, siamo in pochi perché significa andare nella propria strada senza svendersi alla mode e alle competizioni. Non credo nei talent, o meglio nell’uso che ne viene fatto. Ci sono tantissimi giovani artisti meravigliosi ma non credo lo studio a tavolino su chi potrà essere competitivo. È questa la differenza tra musica e intrattenimento. Io non devo intrattenere nessuno, le persone devono scegliere se stare con me».
Il prossimo 30 marzo sarà a Monopoli con un concerto omaggio al maestro Murolo. Cosa ha rappresentato per la sua formazione professionale quell’incontro?
«Io avevo vent’anni ed ero una ragazzina che stava nell’entourage di Renzo Arbore. Ho mosso i miei primi passi con un mostro della cultura e della canzone italiana. Un giorno Renzo invitò Roberto Murolo e quando lo sentii cantare rimasi sbalordita dal fatto che non comprendevo a pieno cosa cantasse. Lui aveva trasformato la musica napoletana in un qualcosa che sembrava straniero. Scopri che erano canzoni del ‘600. Lui mi chiamava “a piccerella” e per me era come ascoltare un angelo».
Cosa proporrà durante lo spettacolo?
«Porterò una rivisitazione della musica napoletana in chiave chiave “muroliana”. Andremo nel cuore della musica neomelodica portando sul pacco delle chicche del Maestro come un ninna nanna napoletana ma con testo ebraico».
Cosa consiglierebbe ai numerosi cantanti che si affacciano al mondo della musica?
«Essere coerenti e non inseguire il successo. Il successo deve essere la ricompensa della pazienza».