Tornano i Phoenix: «Il Louvre è il nostro inedito studio di registrazione»

Sono tra i gruppi francesi più importanti del mondo e con il loro camaleontismo hanno influenzato molteplici generi musicali. I Phoenix, tra gli headliner dell’ultima edizione del Primavera Sound di Barcellona, luogo dove hanno debuttato con il loro nuovo brano “Alpha Zulu”.

Sembra passato poco tempo da quell’ormai lontano 2000 in cui quattro ragazzi originari di Le Chesnay pubblicarono “If I Ever Feel Better” caratterizzando non solo l’estate di quell’anno ma il mondo della musica elettronica, diventando uno dei pezzi più importanti di sempre. A quello sono poi seguiti altri capolavori come “1901” e “Lisztomania”.

Cosa significa per voi tornare sul palco dopo la pandemia?

Deck: «Devo ammettere che è un po’ surreale. È accaduto tutto mentre stavamo abbozzando il nuovo album che stiamo ultimando ora. Quindi, non ne abbiamo sentito troppo il peso anche se la situazione ha influenzato noi e la lavorazione del progetto».

È da poco uscito il vostro singolo “Alpha Zulu”, di cosa parla?

Christian: «È uno dei primi brani che abbiamo composto. Mi piace molto perché nonostante la scrittura veloce che ha avuto, fa emergere il subconscio di noi quattro. Non è stata una cosa voluta, è uscito da solo e noi lo abbiamo accettato come fosse un dono».

Qual è stata l’ispirazione?

C: «Eravamo tutti in una stanza, abbiamo schiacciato “rec” e Thomas è partito a cantare il ritornello. Da lì è arrivato tutto di getto: abbiamo imparato che, quando stai creando, non devi porti domande ma semplicemente seguire la corrente. È quando inizi a fartele che ti perdi. Il titolo, invece, viene da un aereo che ha preso Thomas e che ha avuto importanti turbolenze. Quando è atterrato, a mente fredda, si è reso conto che il pilota ripeteva “Alpha Zulu” che Thomas credeva fosse una sorta di codice rosso: ha scoperto poi che era il nome del velivolo».

Il vostro scorso album si chiamava “Ti Amo” ed era un’ode al nostro paese. Vi ha ispirato la musica italiana?

C: «La musica italiana non potrebbe esistere in altri paesi, c’è qualcosa di unico e magico che accade da voi che per me è indescrivibile. Cinque anni fa io e Deck ci siamo messi ad analizzare la musica di Lucio Battisti, cercando di capire il segreto dietro il magnetismo dei suoi brani».

Lo avete trovato?

C: «No ma abbiamo capito un trucco: giocare con l’inaspettato. Battisti seguiva uno schema che in un momento o in un altro cambiava il brano rendendolo completamente diverso, il tutto mantenendo una romantica malinconia che nessun’altro sa ricreare».

Tra un po’ uscirà il vostro nuovo album. Potete dirmi qualcosa in più?

C: «Non è ancora finito, quindi non possiamo dire troppo. Abbiamo avuto uno studio di registrazione inedito però, il Louvre».

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