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Sul mondo dell’arte il gallerista Bellini: «Narro i cliché. Qui manca una visione di cultura» – L’INTERVISTA

Entriamo nell’affascinante mondo dell’arte con una figura illustre: Andrea Bellini, direttore del Centro d’arte contemporanea di Ginevra, un gallerista con un curriculum prestigioso: co-direttore del Castello di Rivoli, direttore della fiera Artissima di Torino, curatorial advisor del MoMA di New York, caporedattore di Flash Art International, curatore del Padiglione svizzero della 60esima Biennale di Venezia…
Andrea Bellini con l’artista Ventura Profana protagonista del Padiglione Svizzero della biennale di Venezia 2024

Entriamo nell’affascinante mondo dell’arte con una figura illustre: Andrea Bellini, direttore del Centro d’arte contemporanea di Ginevra, un gallerista con un curriculum prestigioso: co-direttore del Castello di Rivoli, direttore della fiera Artissima di Torino, curatorial advisor del MoMA di New York, caporedattore di Flash Art International, curatore del Padiglione svizzero della 60esima Biennale di Venezia e altri incarichi di rilievo. Classe ‘71, origini romane, una laurea in Filosofia, una specializzazione in archeologia e storia dell’arte, un sorriso comunicativo e una passione che dura da sempre, quella per il Bello, per ogni forma di sapere che abbia una cultura visiva, un’estetica a tutto tondo. Bellini vive in Svizzera, è sbarcato in Puglia in occasione della ventitreesima edizione del “Libro Possibile” e ha presentato il suo lavoro di penna “Storie dell’arte contemporanea” (edito da Timeo) nel luminoso Museo Pino Pascali di Polignano a Mare. A conversare con lui è stata la consigliera comunale Micaela Paparella.

Direttore, ho appena citato un luogo pieno di luce, un Museo che ha tanto da raccontare sul tema bellezza; ha curato mostre in giro per il mondo, che effetto le ha fatto parlare di arte in un luogo come questo?

«L’artista pugliese Pino Pascali, scomparso nel 1968 a soli 33 anni, è stato un genio, un punto di riferimento per generazioni e l’incanto del posto rende il giusto omaggio a un grande talento. Costituire una Fondazione d’arte permanente è il frutto di una strategia culturale che supera l’evento estemporaneo e dà lustro al territorio».

E a largo raggio la Puglia quanto spazio dedica all’arte contemporanea?

«In generale a questa regione così come al resto del Paese manca una visione strategica della cultura; si fanno passi in avanti, certo, c’è la volontà ma la strada è ancora lunga. Un esempio di una politica a favore è quello del Museo d’arte contemporanea di Rivoli, realizzato nei primi anni ‘80. Un centro per la creatività e la ricerca. Puntare quindi su queste politiche vuol dire alimentare l’educazione e lo sviluppo della cultura ed è utile che le amministrazioni che si succedono assicurino continuità».

E rimanendo sempre in Pugliaci sono stati artisti che l’hanno ispirata?

«Questa regione ha offerto all’Italia grandi intellettuali, ha partecipato all’arte contemporanea con figure leggendarie. Penso poi ai diversi galleristi interessanti come Marilena Bonomo».

E lei, visto che è l’unico in famiglia ad avere questa passione, da chi ha tratto ispirazione?

«Da Andrea Pazienza, un fumettista e pittore originario di Montepulciano. Devo un grazie a mio fratello perché all’epoca portava in casa le riviste “Frigidaire” e così mi sono appassionato all’arte».

Quale il suo legame con questa regione?

«Sono parte attiva dell’archivio Chiara Fumai con una sede qui in Puglia. E’ un progetto per tutelare le opere e la memoria della talentuosa artista romana scomparsa nel 2017 a 39 anni. La madre Liliana Chiari ci ha lasciato tanto di quel lavoro e tocca a noi catalogare e divulgare. E’ un lavoro di squadra e con me ci sono Milovan Farronato, Micaela Paparella, Presidente dell’Archivio, i collezionisti Roberto Spada e Luigi Bonfanti e Alice Labor, collaboratrice esterna. Nel 2018 al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia erano esposte le opere di quest’artista-architetto».

Sul filo dei singoli estri e genialità e affrontando il tema del suo libro, qual è oggi il volto dell’umanità?

«Non uno ma tanti mondi, da quello più comune a quello eccezionale. E’ un libro di narrativa, ironico e racconto alcune storie. Tutto è nato da un pranzo con una collezionista di Ginevra e in quel ristorante ho capito che quel momento andava fermato nel tempo portandolo su carta e da allora non ho più smesso di scrivere. Da queste pagine, per me liberatorie, vengono fuori personaggi che s’impongono nell’universo dell’arte anche grazie al loro capitale economico, ribadendo il cliché che vede nell’agiatezza la base di una scelta artistica. Poi parlo di cleptomani, speculatori finanziari galleristi demodé, editori, muse e così via ma io sono sempre dalla parte degli artisti. Non solo, racconto me stesso e non certo come persona migliore degli altri».

Lei però ce l’ha fatta. Come è riuscito?

«Ho mantenuto quella iperattività, passione e curiosità che avevo da bimbo».

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